"Non
abbiate paura"
(considerazioni del docente
Dentoni sulla "Giornata Mondiale della Gioventù",
con contorno di altri commenti
e testimonianze )
commento di Stefania Ruggeri (ex-alunna) (20.08.2000)
commento del docente Dentoni "Non abbiate paura" (22.08.2000)
testimonianza di Marica Nobile (ex-alunna) (05.09.2000)
commento di Alice Sordini (ex-alunna): GMG e "fanatismi" (06.05.2001)
commento di Emanuele R. (studente 4 liceo): sui "papaboys" in occasione della morte di Giovanni Paolo II (12.04.2005)
considerazioni del docente Dentoni: sui "papaboys" e sulla scomparsa di PapKarol Wojtyla (16.04.2005)
tentativo di bilancio del pontificato di Karol Wojtyla: della Associazione "Noi siamo Chiesa-Italia" (09.04.2005)
Qui Melone Massimiliano a Francesco Dentoni, passo...
Salve ... le scrivo per spedirle un documento che la signorina Ruggieri Stefania ha scritto in occasione del giubileo dei giovani a Tor Vergata, le assicuro che è un documento che merita attenzione.
Vorrei dire a tal
proposito che non sono personalmente in accordo con tutte le paure che manifesta
Stefania, ma una cosa di certo mi spaventa, ossia i tratti sempre più marcati
di fanatismo e platealità che la chiesa ed il papa incoraggiano nelle loro
manifestanzioni. Mi spaventa oltremodo l'enorme attenzione e il grande dispendio
di energie, denaro e tempo degli organizzatori e del comune (soprattutto di
Rutelli), e rifletto sul fatto che lo stesso Rutelli non si è assolutamente
dimostrato così disponibile in occasione della manifestazione dei Gay. Quindi
in definitiva penso che ha fatto bene il giornale "Liberazione" a
titolare "Papa Pride".
In allegato,
Massimiliano mi ha inviato questo testo di Stefania Ruggeri, ella pure
ex-studente dello stesso anno, e collaboratrice al progetto "IRC
parliamone: non nuoce alla salute". Dal contesto, mi sembra di capire che
si tratti di una lettera che lei ha inviato al quotidiano
"Liberazione" (e che, forse, vi è stata pubblicata con il
titolo "Papa Pride").
Agosto 2000
TOR VERGATA: CONSAPEVOLEZZA O FANATISMO?
Guardando le immagini di più di 2
milioni di giovani riuniti insieme non posso non avere paura. Questa sensazione
proviene dal fatto che sono lontana dalle motivazioni che li hanno spinti lì,
non li sento ragazzi come me ma diversi, o sono io la diversa?
In tutta questa settimana li ho visti in giro per Roma,
hanno invaso il mio quartiere i parchi della città, tutto però con grande
compostezza discrezione: niente schiamazzi notturni, disordini o altro, quando
perfino nelle gite scolastiche possono capitare! E allora da un lato mi sento
loro vicina per il senso di civiltà ed il rispetto verso la città, ma dall’altro
mi chiedo se in questo sono guidati dalla loro razionalità o più da una sorta
di “religiosa sottomissione” all’ordine ed alla disciplina!
Ho paura, anche perché vorrei nella mia vita far parte di
un gruppo così numeroso con il quale condividere ideali e speranze, ma fra
tutte le manifestazioni del mondo, non so se ce ne sia una nella quale non avrei
riserve riguardo al modo in cui viene gestita o strumentalizzata. E mi chiedo se
questi giovani abbiano delle riserve sugli atteggiamenti della chiesa e in
primis del papa nei loro confronti: ci sono tra loro giovani non illibati o
omosessuali o altro? Perché sono così tranquilli e pacifici? Forse perché non
stanno combattendo contro qualcosa o meglio in certi momenti sembra che lo
facciano, contro tutte le ingiustizie del mondo eccetto ovvia-mente che contro
quelle non riconosciute dalla chiesa.
Allora io ho paura perché mi chiedo se un uomo che debba
assumere personale, preferi-rebbe un militante di Greenpeace (con magari qualche
denuncia di disturbo della quiete pub-blica) o uno di questi giovani che alla
fine dei conti dà garanzia di rispetto, umiltà e pazienza!
In questi giorni mi é capitato di deridere questi ragazzi
che vanno in giro con i loro pass al collo, i loro canti, camminando per ore
sotto il sole invece di aspettare l’autobus e vanno a dormire in tende o nelle
scuole rigorosamente separati e vigilati maschi e femmine! Però non posso fare
a meno di chiedermi perché lo facciano: cosa li spinge a mettere il loro corpo
a così dura prova? Stanno conciliando fede e ragione oppure sono vittime di un
fanatismo di portata mondiale? Non sono anche essi strumentalizzati come
qualsiasi altro manifestante sprovveduto?
Ho paura: se con questo atteggiamento conquisteranno il
mondo, cosa ne sarà di me? Mi “tollereranno”?
Stefania Ruggieri
Cara Stefania,
permettetemi di prender spunto dal tuo intervento per
esporre in ordine sparso alcune riflessioni.
[Innocui]
Non credo che per ora ci siano motivi di avere paura. I
giovani che abbiamo visto a Roma in questa metà di agosto mi sembrano innocui.
Certo bisogna stare attenti,
[Anzi, mansueti]
Anzi, caso mai si debba fare una critica, la più
immediata dal punto di vista del sociale, del costume e della politica, è che
questi giovani sono troppo innocui.
Basta guardare la benevolenza (in alcuni casi
veramente leccosa e sdolcinata: cose che faranno schifo ai giovani stessi,
spero) con la quale sono stati visti, ritratti, e idealizzati.
Giovani che credono nei valori, nei sentimenti, nella
famiglia , nella solidarietà, nella "vita", nella pace...
[traduzione: questi giovani non si drogano, non mettono incinte le nostre
figlie, non fanno né scippi né rapine, sono contro l'aborto, non
diventano terroristi e non frequentano i centri sociali]; se hanno qualcosa da
dire non protestano ma sono comprensivi e costruttivi; non chiedono e non
pretendono; non si interessano dei grandi problemi del mondo, e li lasciano ai
poteri occulti. Se il mondo va male, puntano sul creare nuove relazioni umane,
cercano il rimedio in un "supplemento di spirito", limitano i l
proprio orizzonte al contributo personale e vissuto.... Insomma, la politica la
lasciano agli adulti.
Mi sembra evidente che sono tanto apprezzati proprio
perché non rompono le scatole; finalmente hanno rinunciato a quello che
sembrava il ruolo dei giovani: mettere in questione la società esistente, le
sue false sicurezze, la sua diseguaglianza strisciante, la sua mancanza di
apertura al futuro. E siccome mi pare che uno dei punti forti del migliore
cristianesimo stia proprio nel mettere in questione la società esistente, le
sue false sicurezze, la sua diseguaglianza strisciante, la sua mancanza di
apertura al futuro, mi sembra chiaro che questi giovani vengono tanto lodati
proprio perché non sono più veri giovani, e non sono nemmeno cristiani
pericolosi ed alternativi.
Un po' sconsolante. Ma sono anni che questo trend
avanza nella società; era forse il 1996 quando in un documento al collegio dei
docenti mi sono dichiarato contro il progetto strisciante di dar vita ad una
nuova specie umana: lo "iuvenis mansuetus".
[Generici e superficiali, temo]
Il pacifismo, il cosmopolitismo e il (moderato) ecologismo
di cui i due milioni di giovani venuti a Roma si sono dichiarati portatori, non
credo che abbia una anima profonda: sa di quelle verniciature generiche che una
volta, per la verità, si ammannivano ai bambini (non ai giovani). Ad esempio,
per una settimana hanno inneggiato alla pace. Ma di quei due milioni, ben più
della metà erano italiani: che cosa pensavano della guerra che non più di un
anno fa l'Italia ha combattuto in Kosovo? Non ne ho sentito una sola parola. Un
pacifista che non si pronuncia su questioni del genere, è sulle nuvole.
Il pacifismo autentico non si alimenta di slanci generici
(che una volta si leggevano nelle letterine dei bambini a Babbo Natale, e oggi
ahimè si ascoltano nelle allocuzioni del papa, nelle parole dei giovani, e nei
pietosi sermoncini dei telecronisti): deve avere un qualche retroterra culturale
[e non ve ne è uno solo: di pacifismi ve ne sono vari tipi]; ad esempio c'è un
pacifismo antimilitarista (che però ha matrice ben poco cattolica, a parte don
Milani), ecc. ecc. ecc.
Voi avete capito quale è il presunto pacifismo di quei
due milioni di giovani? Giacché mi sembra demenziale rifarsi presuntuosamente
al "pacifismo cattolico": quale? quello di "beati i
pacifici" o quello di "non sono venuto a portare la pace ma la
spada"?
[Forse troppo ingenui]
E poi, mi sono sembrati troppo ingenui:
[Fanatici? Non mi sembra]
Per come li ho visti, i "due milioni" di giovani
non mi sono dispiaciuti nell'aspetto. Giovani, vivaci, vitali.
Non fanatici coi paraocchi, ma assolutamente normali.
Troppo disciplinati? Forse un poco ricattabili da chi li
ospitava, ma credo (e spero) che i loro comportamenti siano stati spontanei e
naturali. Forse un po' caciaroni, ma non più di tanto.
Per sapere se il loro comportamento sia stato così
esemplare, aspettiamo di rientrare nelle scuole, e sentire un po' più da vicino
racconti meno mielosi. Ma credo che si possa darlo per vero.
E' un fenomeno difficile da spiegare? Non credo; sotto gli
occhi di tutto il mondo, i giovani fanno tutto e il contrario di tutto: la
notizia crea il fatto, molto più di quanto il fatto crei la notizia. E se
la notizia è che una moltitudine colorata, allegra ed educata ha invaso Roma,
il fatto [reale, non immaginario] è che una moltitudine colorata allegra ed
educata ha invaso Roma.
Anche una scolaresca, che di solito è sguaiata e
parolaia, in certe occasioni esterne, soprattutto se solenni e impegnative,
diventa esemplare. Non parliamo poi quando devono fare una rappresentazione
teatrale: li vedi trasformati e "protagonisti"
("irriconoscibili", dicono alcuni docenti). Ebbene, cosa è stata, la
settimana dei giovani a Roma, se non una immensa rappresentazione teatrale?
[Gregge passivo]
Piuttosto, li ho visti, nella sostanza, inquadrati,
intruppati, passivi.
Mi ha colpito molto la radicale mancanza di democrazia
in tutta questa enorme manifestazione.
Sono stati convocati dagli adulti, su temi scelti dagli
adulti, con programmi decisi dagli adulti, con discorsi e messaggi fatti dagli
adulti.
C'è una organizzazione di giovani dietro questi raduni?
Ci sono dei portavoce che rappresentano la base? Esiste una elaborazione dal
basso, o il tutto è un colossale processo unidirezionale (dall'alto verso il
basso)? Hanno avuto da dire qualcosa, od hanno solamente ascoltato, assentito,
applaudito?
Sui vari palchi non ho visto dei giovani protagonisti:
solo ministri e cardinali; con intorno i giovani a fare la claque...
Non chiameremo protagonisti le marionette scelte a fare i
"presentatori" (e secondo voi, ogni virgola di quello che hanno detto,
non è passata al vaglio di qualche monsignore?). Non chiameremo partecipazione
la "testimonianze" costituite dalle singole interviste, manipolabili
proprio perché rigorosamente singole.
Non ho trovato un solo giovane che abbia parlato come
portavoce di un gruppo auto-organizzato. Ognuno è venuto a titolo
strettamente privato, in un unanimismo falso e sconfortante.
Queste sono cose grosse! Quelli lì, che hanno organizzato
questa colossale messa in scena, sono gente che crede nei giovani? che ha
fiducia nei giovani? No, mi sembra proprio di no. Altrimenti non li avrebbe
considerati muti e incapaci di pensare, progettare, decidere.
Per fare dimenticare tutto questo, non basta che con una
buona dose di ipocrisia i telecronisti si siano profusi nell'esaltare il
"dialogo" fra i giovani e il papa. "Ola" e applausi da un
lato, e cenni di saluto dall'altro costituirebbero un "dialogo"? Se
fosse così, allora a me, che sono il più orso del Malpighi, dovrebbero dare un
Nobel in comunicazione.
[La penosa ubriacatura dei numeri]
Vorrei limitare, per brevità, le riflessione sul parlare
che si è fatto sui numeri, e sul rapporto fra "successo della
manifestazione" e numero dei partecipanti, che ho visto ai vertici delle
considerazione di tanti, laici ed ecclesiastici.
In primo luogo mi sembra molto pagana (o se volete
berlusconiana, ma senz'altro non cristiana) la ideologia del
"successo" (c'è tutta una teologia cristiana del "piccolo
gregge", degli "ultimi che saranno i primi", che fa a pugni con
la ubriacatura di trionfalismo a cui abbiamo assistito).
E poi, siamo generosi: diciamo che c'erano tre milioni di
persone (tanto, lo sappiamo, i numeri nelle manifestazioni sono come i misteri:
diventano veri perché nessuno può dimostrare il contrario). Ma qualche
anno fa Berlusconi in poche settimane dice di avere messo insieme (a Piazza San
Giovanni) un milione di persone: qualcuno di voi lo ricorda? E senza
finanziamenti statali, senza pubblicità, senza leggi speciali, senza
preparazione: così, schioccando le dita . Tre milioni da tutto il mondo, con
tre anni di preparazione e di strombazzi, con centinaia (ma secondo me migliaia)
di miliardi stanziati, con una rete capillare laica ed ecclesiastica, per chi
ama i grandi numeri non mi sembra straordinario: appena decente.
[Quali contenuti?]
Ma quello che a me, dal mio punto di vista, maggiormente
interessa, sono alcuni temi di principio.
Perciò voglio ora in breve passare criticamente in
rassegna quelli che mi sembrano essere stati i contenuti di queste
"giornata mondiale della gioventù", al di là dei programmi
ufficiali:
Il classico armamentario a negazione di quanto ho appena detto ("no: non capisci nulla! il cristianesimo è esperienza, è vita vissuta, è incontro personale, non è filosofia!") non fa altro che battere dove il dente duole. Infatti se fossero logici, i cristiani dovrebbero sostenere, in base a quel ragionamento, che solo loro vivono veramente: abbiano il coraggio di dirlo, e poi ci risentiamo. Caso mai, si potrà lamentare che spesso, storicamente, rispetto altre forme di filosofia, il cristianesimo è stato privo di uno dei caratteri essenziali della filosofia: la capacità di essere dialogicamente (cioè razionalmente) scambiata, condivisa, partecipata: è stata, ed è (nella versione oggi predominante), una filosofia autoritaria; ma sempre filosofia è
From: nobile <@tiscalinet.it>
To: <f.dentoni@flashnet.it>
Subject: Navigando si incontrano siti interessanti!
Date: Tue, 5 Sep 2000 16:32:52 +0200
Salve!
Sono Marica Nobile (maturità 1997) ed in una calda serata
d'Agosto trascorsa a Castel Sant'Angelo con altri ex alunni (tali Massimiliano
Melone e Stefania Ruggieri) ho scoperto l'esistenza di questo sito e del
dibattito innescato da Stefania sulla Giornata Mondiale della Gioventù.
Ebbene sì, la mia rinomata curiosità mi ha spinto a
leggere il documento della mia ex compagna di classe e se le interessa ho delle
opinioni da proporle come "testimone oculare del Papa pride di Tor
Vergata"... Anche Stefania e Massimiliano sono rimasti sorpresi nello
scoprire che la loro amica vs-IRC, non illibata e profondamente legata alle
tematiche femministe alla Susan Moller Okin si era recata in pellegrinaggio (è
nota anche la mia avversione per le camminate!) fino alla "spianata
di Tor Vergata", ed incuriositi da ciò hanno voluto conoscere le mie
opinioni della manifestazione vista dall'interno.
Beh, quello che ho visto contrasta un pò con le immagini
proposte a ripetizione dalla televisione: i quattro chilometri che separavano la
metropolitana dall'area della manifestazione erano ricoperti da rifiuti, per lo
più i resti dei contenitori di cibo della protezione civile (forse allora noi
giovani abbiamo un pò meno rispetto della città di quanto ce ne attribuisca
Stefania), e gruppi di ragazzi di tutte le nazionalità bivaccavano (e non
proprio in religiosa sottomissione) lungo il tragitto. La spianata era invasa da
ragazzi (se possiamo chiamare ragazzi persone per lo più intorno ai 35 anni) la
cui attività preferita era evitare accuratamente di ascoltare qualsiasi cosa
provenisse dagli altoparlanti, preferendo concentrarsi su danze, canti, lotta
greco-romana oppure sulla fusione delle posate di plastica fornite
dall'organizzazione per altri scopi ( spero ).
La mia modesta opinione è che questa marea umana sia
stata attratta dalla possibilità di "stare insieme" e la assicuro che
Fregene è esattamente come il Portogallo, ma se il Portogallo costasse come
Fregene perchè la differenza viene pagata dalla Chiesa Cattolica, chi non
approfitterebbe? E poi parliamoci chiaro, in un mondo in cui una soluzione
facile per tutti i problemi non c'è, è bello nascondersi dietro l'amore
infinito di Cristo per qualche giorno e riassaporare, anche solo per un momento,
la sensazione che ci dava da bambini lo stare in braccio alla mamma. Sono certa
che nessuno di quei ragazzi sia convinto che "la fede può tutto" e
segua pedissequamente la dottrina cattolica, perchè esattamente come insinuava
Stefania molti di loro non sono più illibati, molti sono omosessuali o
semplicemente condannano alcuni atteggiamenti della Chiesa (vedi il maschilismo,
il conservatorismo nei confronti di temi come la sessualità o la politica
demografica del contollo delle nascite), e allora?
Allora niente: loro sono partiti così come erano e tali
sono rimasti con grande sconforto dei media che hanno tentato in tutti i modi di
dipingerli come Stefania li ha visti: composti, discreti, civili, sottomessi e
pacifici. La verità è un'altra (se la verità esiste e ne sono poco convinta)
volevan solo stare un pò insieme a discutere di temi importanti come l'aborto,
la pace, il razzismo, esattamente come facciamo Stefania, Massimiliano ed io
quando ci incontriamo. Il problema secondo me è un altro: possibile che per
discutere ci sia bisogno della GMG? Evidentemente non a tutti basta Castel
Sant'Angelo!
Mi auguro di partecipare ad altri
dibattiti (i miei compagni già citati ed io ne abbiamo avuto uno molto
interessante sulla clonazione umana e sui prodotti transgenici pochi giorni fa):
il mio indirizzo e-mail è 040922@luiss.it e se interessa a qualcuno dei nuovi
alunni sto scrivendo una tesi di laurea in Filosofia Politica sul Femminismo.
Aspetto domande e spunti riflessivi...
A presto
Marica
segue la risposta del docente Dentoni
Cara Marica, sono contento di
sentirti (mi pare che l'ultima volta ci siamo visti ad una manifestazione a
difesa della scuola pubblica). Io confondo molto le notizie sugli
"ex-" (qualcuno direbbe che li "rimuovo"), ma dallo
indirizzo e-mail mi fai "ricordare" che stai studiando alla Luiss. Che
avresti fatto una tesi sul femminismo, si poteva presagire, anche senza essere
profeti...
Grazie della tua testimonianza (che contribuisce
credibilmente a dare un sano senso di normalità a quell'evento) e delle tue
riflessioni, che non commento in dettaglio, ma che condivido ampiamente.
Buon lavoro.
f.dentoni
A notevole distanza di tempo è giunto il commento di un'altra ex-alunna della sezione F, a commento dei testi che precedono (assieme ad una serie di notizie sulle sue interessanti esperienze)
From:
"Alice Sordini" <alice.s@flashnet.it>
To: <f.dentoni@flashnet.it>
Subject: LA GMG 2000
Date: Sun, 6 May 2001 13:46:19
Devo dire che la prima cosa che mi è venuta in mente, quando vedevo quei torpedoni recarsi a Piazza S. Pietro e Tor Vergata, è stata "ma chi glielo fa fare!con quel sole! e con quel caldo!". Sinceramente ho pensato che in quel momento non avrei voluto essere nei loro panni. Condivido in pieno quello che lei ha scritto.
Volevo anche dire, a commento della mail di Marica Nobile, che non tutti i ragazzi che erano lì a Tor Vergata bivaccavano e non tutti hanno partecipato alla GMG per "la voglia dello stare insieme", ci sono molti ragazzi che ci sono andati perché cattolici ferventi. A me questi, mio parere personalissimo e discutibile, sembrano solo degli esaltati. Mi veniva da ridere quando in televisione ho visto i giornalisti chiedere ad alcuni ragazzi se rispettavano il principio secondo cui si deve arrivare vergini al matrimonio! Hanno tutti detto che erano illibati! Ma chi ci crede,dico io! Io penso che gli illibati siano una piccola minoranza. Non voglio dilungarmi su questo tema, mi associo alle sue considerazioni.
A proposito di giovani e fede, qualche tempo fa sono indirettamente venuta a conoscere persone che sono entrate in una comunità neocatecumenale.
Loro dicono che nel primo comandamento Dio dice all'uomo di non crearsi dei falsi idoli ma a me è parso che loro abbiano un'idolo:la comunità e tutto ciò che vi ruota attorno! Forse mi sbaglio ma poi cos'è sta comunità neocatecumenale? mi sembra un po' una setta! Non è nemmeno facile parlare con queste persone, perché se si dice apertamene quello che si pensa, non sarebbe molto delicato....
Segue una risposta del docente Dentoni (16.05.2001)
francesco dentoni
Ad alcuni anni di distanza, in occasione della morte di Giovanni Paolo II, uno studente ha riletto gli interventi recenti, e sul tema dei "papaboys" mi ha spedito (12.4.2005) questo commento. Mi riprometto di farvi seguire nei prossimi giorni alcune osservazioni.
Alcune considerazioni del docente Dentoni sull'intervento di Emanuele R. del 12.4.2005
Il contributo di Emanuele si inserisce sulla scia della “giornate della gioventù” del 2000, traendo spunto dal fenomeno dei “papa boys”, riemersi all’improvviso al capezzale del papa morente dopo una sostanziale scomparsa dal 2000 al 2005. Questo fenomeno secondo me sarebbe motivo di riflessione: non vorrei che questo “speciale rapporto dei giovani con il papa” sia frutto di una operazione mass-mediatica opera di adulti ben maturi! I papaboys saltano fuori solo quando i giornali parlano di loro… (non è che loro ci sono e i giornali ne parlano; ma i giornali ne parlano e loro ci sono…).
Che cosa avrebbe detto in concreto questo papa ai giovani, a me sembra –ripeto- un po’ fumoso: “siate coraggiosi, siate impegnati, vivete una vita di valori, …”; ma, io mi domando, dove sta la novità? Non lo insegna, questo, ogni qualunque parroco di periferia o di campagna? Che poi lui in persona lo abbia non solo detto ma testimoniato e vissuto in un modo intenso, nuovo e diverso, questo lo abbiamo creduto da cosa ci ha fatto vedere la TV. Ma lo sappiamo che la TV crea divi in poche settimane… figurarsi in 26 anni…
Comunque ritengo che nel suo insieme le pacate riflessioni di Emanuele esprimano una posizione su cui c’è poco da commentare: lui ritiene che Papa Wojtyla sia stata una guida che ha saputo parlare ai giovani, e che in generale le sue prese di posizione siano state coraggiose ed epocali.
Su questo secondo punto (che la azione di Karol Wojtyla avrebbe avuto una portata storica immensa) si sono sprecate molte parole. Ma io in genere consiglio tutti a diffidare quando, per la cronaca di oggi, si tira in campo la storia. Oggi la storia è uno dei principali strumenti di manipolazione della verità. Poiché in genere la storia non la conosce nessuno, allora ci si può permettere di fantasticarvi a piacimento. Io che nel mio piccolo insegno storia, mi preoccupo molto quando a parlare della importanza epocale di Giovanni Paolo Secondo sono dei giovani che non hanno nemmeno una vaga idea di quale governo regge oggi l’Italia (autentico e documentabile); per me significa che ripetono cose non capite ma credute, messe in giro apposta perché siano ripetute acriticamente.
In proposito, allego in coda a questo intervento un commento, di parte cattolica, cioè scritto da credenti, anche se un po’ fuori dal coro. In tema di bilancio di un pontificato, è tra le cose più informate e più giudiziose che ho letto in questi giorni.
Con tutto ciò, non ho intenzione di fare cambiare idea a Emanuele. Le idee sono un bene raro: chi ne ha, è bene che se le tenga.
Rivendico però il mio compito. Compito della scuola è fare cultura, cioè educare al senso critico, al senso della misura, e alla consapevolezza dei limiti. E’ per questo che, al di là delle varie posizioni, e di una unanime partecipazione alla sofferenza di chi con coraggio ha affrontato una sua lotta e ne è uscito sconfitto, penso di dover dire che mi auguro questo: che tutti siamo in grado di renderci conto della ubriacatura di cui siamo stati investiti nei giorni scorsi. Ammirazione, entusiasmo, apprezzamento, riconoscimenti, non giustificano quella specie di isteria collettiva per cui è stato fatto sembrare, a noi italiani, che per vari giorni il mondo intero si sia fermato percosso ed attonito. Questo non avvenne nemmeno quando morì Napoleone, con buona pace di Manzoni.
Volevo commentare solo un punto preciso toccato da Emanuele: che i cattolici non si tireranno indietro il giorno che ci sarà bisogno di difendere la democrazia. Sì, mi sembra un tema interessante: anche io, ad esempio, fra i più convinti difensori dei principi della nostra costituzione, conosco molti cattolici. Ma mi sembra incauto dimenticare:
1) che al tempo del fascismo quasi tutti i cattolici, a partire dal papa, si allinearono all’ordine fascista; e se ci fu qualche attrito col fascismo fu per la difesa di interessi di bottega, non dei diritti di tutti
2) che i cattolici che si batterono (e in molte parti del mondo si battono) per la giustizia e per la libertà, lo fanno molto spesso da soli, isolati e malvisti dalle autorità ecclesiastiche e da Papa Giovanni Paolo II, il quale si fece vedere su di un balcone assieme al generale Pinochet (gesto di significato simbolico enorme, lui che tanto conosceva la comunicazione di massa), e invece fece muso duro contro l’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero, il quale poi fu ucciso perché si era posto con onestà evangelica contro la dittatura del suo paese.
Questi non sono bruscolini o dettagli, mi pare. Ce ne è da pensare, leggere, documentarsi, capire, per tutti. Tanto da capire, e tanta retorica falsa e fasulla da dimenticare.
Roma 16 aprile 2005
francesco dentoni
Riporto qui un tentativo di bilancio, a caldo, del pontificato di Karol Wojtyla, espressione di un gruppo di credenti (il movimento We are Church) che esprime il disagio di milioni di cattolici -per lo più europei e americani- venutosi a creare durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Si tratta di fedeli, ho motivo di ritenere, fra i più adulti, più impegnati e più consapevoli. Il motivo per cui riporto questo documento (9.4.2005) è, ripeto, perché lo ritengo fra le cose più informate, più sensate e più condivisibili che si sono lette in questi giorni.
CONSIDERAZIONI SUL PONTIFICATO DI GIOVANNI PAOLO
II
Associazione "Noi Siamo
Chiesa" Italia -
9 Aprile 2005
Senza pretendere di dare un giudizio articolato e complessivo
sul pontificato di Giovanni Paolo II, uno dei più lunghi della storia, ci
limitiamo a valutare alcuni tra i più rilevanti aspetti della sua gestione,
partendo dal rapporto di questo pontificato con il Vaticano II. Del resto, lo
stesso ha più volte affermato che l’attuazione del Concilio doveva essere l’aspetto
caratterizzante del suo compito papale.
n
Dialogo inter-religioso
L’indicazione conciliare, espressa soprattutto dalla
dichiarazione Nostra aetate, ha avuto sotto Wojtyla sviluppi inattesi e
importanti. Sul versante del dialogo con i non cristiani, rimangono nella
memoria le giornate di preghiera per la pace, ad Assisi, convocate dal papa nel
1986 e nel 2002, presenti i rappresentanti delle maggiori religioni del mondo.
Mai il papato aveva immaginato "vertici" del genere. Per quanto
riguarda specificatamente gli ebrei, ricordiamo la sua visita alla sinagoga di
Roma (1986) e al Muro del pianto di Gerusalemme (2000). E, per i musulmani, la
visita in Marocco (1985), alla spianata delle moschee di Gerusalemme (2000) e
alla moschea omayyade di Damasco (2001).
Spettacolare sul piano dei gesti il dialogo inter-religioso voluto da Wojtyla che ha mostrato, però, irrisolte contraddizioni sul piano teologico. Difficilmente la Chiesa di Roma poteva dialogare "alla pari" con altri mentre riteneva la propria religione obiettivamente superiore alle altre, essendo il papa "Vicario di Cristo", unico Salvatore del mondo. Nel 2000 la dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede "Dominus Jesus", che riaffermava la centralità di Cristo e della Chiesa romana sul piano divino della salvezza, metteva a nudo questa contraddizione. E l’emarginazione, o la punizione, decisa da Roma, di Tissa Balasuriya o di Jacques Dupuis – teologi che avevano tentato nuove strade per impostare il rapporto Chiesa cattolica/Religioni non cristiane – ha dimostrato la difficoltà della Curia vaticana di saldare posizioni antinomiche.
n
Dialogo ecumenico
Giovanni Paolo II ha affermato più volte che la vocazione
ecumenica della Chiesa cattolica romana è "irrevocabile e
irrinunciabile". Moltissimi sono stati i suoi incontri con leaders
delle Chiese non cristiane. A livello teologico, in campo ecumenico si sono
registrati progressi ma anche retromarce. Un progresso importante – ad esempio
– è stata la dichiarazione comune cattolica-luterana (1999) sulla giustificazione,
problema che nel secolo XVI divise irrimediabilmente le Chiese in Occidente. Ma
nessuna conseguenza ecclesiologica Wojtyla ha tratto da questo Accordo, e con
durezza ha rifiutato la "ospitalità eucaristica" tra cattolici
ed evangelici.
Il Giubileo del Duemila è stato gestito come se la fine del
secondo millennio fosse questione esclusivamente di interesse del centro romano
della Chiesa cattolica. Al di là degli abbracci non si è registrato alcun
progresso con gli ortodossi, in particolare a causa del problema degli "uniati"
(cattolici di rito orientale) – "ponte" di dialogo con gli
ortodossi, per Roma; tentativo di distruggere l’Ortodossia, per gli ortodossi.
Dopo il 1989 non ha fatto che crescere la polemica tra Roma e
Mosca anche a causa di talune imprese "missionarie" cattoliche di tipo
proselitistico. Dolorosamente sorprendente, a tale proposito, la decisione
vaticana di elevare a diocesi le amministrazioni apostoliche della Russia,
quando a Roma si sapeva che ciò avrebbe ferito la sensibilità del patriarca di
Mosca Aleksij II e del Santo Sinodo. Il mancato viaggio del papa in Russia –
molto desiderato dal papa slavo – è la prova evidente del fallimento su
questo versante.
Nessun passo ha mai fatto Wojtyla per "perdere" la
sovranità dello Stato della Città del Vaticano. Una "regalità" che
obiettivamente impedisce alla Chiesa di Roma di dialogare alla pari con le altre
Chiese. E che le permette di avere uno "status" giuridico – e dunque
un peso politico – negato al Consiglio ecumenico delle Chiese, alle altre
Chiese e alle altre religioni nel consesso delle Nazioni Unite.
n
Unità senza diversità
Sullo sfondo di tali difficoltà vi è il problema, storico e
teologico, del papato romano, che lo stesso Wojtyla ha ammesso essere di fatto
il più pesante ostacolo alla riunificazione delle Chiese cristiane. Perciò
nell’enciclica Ut unum sint (1995) il pontefice si è detto disposto a
cambiare le "forme" storiche del papato, lasciando immutata la
sostanza del servizio petrino.
In realtà da allora, come del resto era stato negli anni
precedenti, le "forme" del papato sono rimaste immutate. Anzi, unanime
è la sensazione che Wojtyla, e con lui la Curia, abbiano progressivamente
assunto un potere esorbitante rispetto all’episcopato mondiale, ed abbiano
attuato una centralizzazione ostinata e onnivora.
Un modo per facilitare un equilibrio tra "Chiesa
universale" e "Chiese locali" sarebbe stato quello di dare
attuazione concreta al principio della collegialità episcopale riaffermato dal
Vaticano II. Ma anche in questo campo i segnali sono stati opposti a quelli del
Concilio: i Sinodi dei vescovi, che avevano la funzione di coinvolgere i vescovi
nella gestione della Chiesa, sono stati un mero esercizio comunicativo, senza
alcun valore "deliberante", e lasciando di fatto il potere di
decisione tutto in mano al papa, e cioè alla Curia. Infatti l’agenda dei
problemi, la selezione dei partecipanti, il metodo di lavoro delle commissioni,
la segretezza degli incontri e le stesse conclusioni di ogni Assemblea sinodale
esprimevano chiaramente un disegno autoritario, anche se mascherato da formule
pseudodemocratiche.
Un comprensibile desiderio di dare una unità dottrinale alla
Chiesa ha portato Giovanni Paolo II a scrivere encicliche, lettere apostoliche e
documenti vari relativi a problemi biomedici o sociali; a emanare un voluminoso Catechismo
per la Chiesa cattolica e il Codice di Diritto Canonico aventi un valore
obbligante e indiscutibile per tutta la Chiesa, anche in assenza di un esplicito
consenso dell’Episcopato. Molti di questi documenti sono stati oggetto di
numerose e, spesso, clamorose critiche all’interno della Chiesa, in quanto
troppo distanti dallo spirito del Vaticano II. L’assenso "assoluto"
richiesto dalla Curia ha trasformato i vescovi in semplici trasmettitori degli
insegnamenti del papa, di fatto unico Maestro. Al fine di assicurare una totale
sincronizzazione interna, nel 1988, il papa ha imposto ai vescovi un giuramento
di fedeltà che, mentre sottolineava il necessario vincolo di comunione di ogni
vescovo con quello di Roma, di fatto unilaterale, oscurava però l’autorità
dei vescovi locali.
Più volte il papa ha sostenuto che "la Chiesa non è
una democrazia". Gli episcopati dell’Austria, Germania, Olanda e
Stati Uniti e di altri paesi, ogni volta che hanno intrapreso Sinodi e Assemblee
ecclesiali su temi contesi (il celibato ecclesiastico, la donna-prete, i
contraccettivi, l’omosessualità, il rapporto ministeri ecclesiali/comunità)
sono stati pubblicamente redarguiti o invitati ad abbandonare problematiche
considerate di esclusiva pertinenza pontificia.
La nomina dei vescovi è stata influenzata principalmente dal
criterio dell’adesione dei candidati ai "desiderata"
pontifici sui temi appena indicati. Per la prima volta nella storia della Chiesa
romana si è verificato che la gran maggioranza dei suoi attuali 4000 vescovi
siano stati scelti da un solo papa, quasi "clonati" a sua immagine e
somiglianza.
Inoltre la Curia romana è intervenuta per controllare gli
ordini religiosi non allineati (come il "commissariamento della Compagnia
di Gesù" nel 1981).
n
Esclusione delle nuove teologie
Sulla scia del dibattito a tutto campo favorito dal Vaticano
II, nei diversi continenti sono germogliate, a partire dagli anni Settanta,
esperienze pastorali e correnti teologiche estremamente innovative, come quella
femminista, asiatica, africana, indigena, negra, ed ecologista. Nessuna di esse
ha trovato accoglienza nei documenti o nei discorsi del papa. I cultori di tali
dottrine non hanno mai trovato un posto nelle commissioni teologiche pontificie.
Alcuni di loro sono stati pubblicamente condannati e costretti a ritrattazioni.
Per fronteggiare la libertà di ricerca invocata dai teologi
e osteggiata dal papa, quest’ultimo ha provveduto a esigere da tutti i
professori di teologia il seguente giuramento: "Aderisco con religioso
ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il romano
pontefice o il collegio episcopale propongono quando esercitano il loro
magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo"
(1988). E perciò ha proibito, ad esempio, ogni discussione che mettesse in
dubbio il no papale all’ordinazione sacerdotale delle donne (1994).
Esperienze innovative hanno trovato raramente accoglienza
nella Curia papale. Alcuni esempi: bocciati, tra l’altro, i tentativi di
revisione delle traduzioni della Bibbia secondo il linguaggio inclusivo (USA); l’autonomia
delle università cattoliche (USA); l’uso frequente della confessione
comunitaria (Australia); la gestione dei consultori per l’aborto (Germania).
Più nota e sistematica è stata la tenace opposizione
ingaggiata dal papato nei confronti della Teologia della Liberazione (TL). Nata
nel continente latino-americano, si era contraddistinta non tanto per i suoi
contenuti biblici (in particolare l’Esodo), quanto per l’approccio
sociologico-ermeneutico, dato che si considerava l’identificazione con i
poveri come la conditio sine qua non per interpretare la Buona Notizia di
Gesù e svolgere la missione evangelizzatrice. Il primato era posto nell’ortoprassi,
non più nell’ortodossia. La TL ha subito una pubblica condanna tramite una Istruzione
emessa dal Cardinal Ratzinger, praticamente copiata dalla rivista colombiana
Tierra Nueva, fondata dal card. Trujillo. Accusati di ascendenze
marxisto-comuniste, tutti i maggiori teologi della liberazione sono stati puniti
in vario modo o emarginati. Vescovi, seminari, congregazioni religiose,
movimenti ecclesiali con simpatie "liberazioniste" sono stati
accuratamente indagati e/o rimossi. Salvo rare eccezioni, i vescovi
latino-americani nominati da Wojtyla erano avversari della Teologia della
liberazione.
Il Consiglio episcopale latino-americano (Celam) – che a
Medellin, Colombia (1968), nella Conferenza generale aveva assunto posizioni
profetiche nella denuncia delle "strutture di peccato" che
opprimevano il continente, e ammesso responsabilità della Chiesa per tale
situazione – via via è stato "normalizzato" dal Vaticano, prima
nella Conferenza di Puebla, Messico (1979), e soprattutto in quella di Santo
Domingo (1992). Una "normalizzazione" che obiettivamente andava
incontro ai desiderata del governo statunitense, timoroso degli sviluppi di una
teologia contraria agli interessi di una potenza imperiale.
n Laicità
Wojtyla ha continuamente proclamato che la Chiesa nutre il
massimo rispetto per le istituzioni civili e per l’autonomia dei governi e dei
rappresentanti delle realtà secolari. Allo stesso tempo, forte del principio
secondo cui – a suo parere – il mondo laico non può dire una parola
autorevole in fatto di etica, e tanto meno fondare etiche responsabili, ha
premuto perché le leggi statali sul divorzio e, in particolare, sull’interruzione
della gravidanza, si adeguassero alle leggi ecclesiastiche, definendo
"tirannici" quei parlamenti che avessero legalizzato l’aborto.
Coerentemente ha insistito che nella Costituzione europea fossero esplicitamente
citate le "radici cristiane" del Continente ed ha
spesso agito in modo che i rapporti Stato e Chiesa cattolica,
fondati su Concordati o patti similari, garantissero non solo diritti legittimi
ma anche privilegi in contraddizione con quanto affermato dal Concilio (Gaudium
et Spes,76).
I laici cattolici, che nel Concilio Vaticano II avevano
riacquistato la dignità di "popolo sacerdotale, profetico e
regale", sono stati degradati a "sudditi" nel Codice
di Diritto Canonico emanato da Wojtyla (1983). Essi sono indegni di leggere il
Vangelo e commentarlo nelle celebrazioni eucaristiche. Buoni, come diceva Yves
Congar, per le tre P: "pregare, pagare, piegare",
inginocchiandosi davanti all’autorità gerarchica.
Coerentemente il papa ha finito per privilegiare quei settori
del laicato cattolico che hanno mostrato una assoluta sudditanza verso la sua
Cattedra, mentre non ha mancato di far sentire la propria contrarietà verso
quelli (Azione Cattolica, Comunità di base, associazioni
biblico-teologico-missionarie) che in vario modo hanno rivendicato una propria
autonomia. Lo stesso "Appello dal popolo di Dio" promosso da
IMWAC (International Movement We Are Church), sottoscritto da due milioni e
mezzo di cattolici che chiedevano una riforma della Chiesa, è stato
disapprovato.
E, sempre a proposito del proclamato rispetto per la dignità
e indipendenza di ogni Stato, molti osservatori hanno denunciato il fatto che la
Santa Sede, adducendo il principio della exstraterritorialità", ha
impedito alle competenti autorità italiane di accertare le responsabilità di
mons. Paul Marcinkus, allora presidente dello Ior (la banca vaticana), nel
clamoroso crack del Banco Ambrosiano (anni 80).
n La donna
Per la prima volta nella storia, papa Wojtyla ha proceduto ad
una parziale rilettura critica dei testi neo testamentari relativi alle donne,
elogiando il "genio femminile" e dedicando ad esse una lettera
apostolica sulla "dignità della donna" (Mulieris dignitatem,
1988). Il documento è stato osteggiato dalla maggioranza delle teologhe
cattoliche e dei movimenti femministi, che hanno denunciato le gravi carenze
teologiche, bibliche e antropologiche del testo e le sue contraddizioni. Del
resto, come hanno rilevato le teologhe cattoliche, e come tutti hanno potuto
constatare, l’intero organigramma ecclesiastico è rimasto, sotto Wojtyla,
più che mai androcentrico. Tutti i posti chiave della Curia romana sono rimasti
saldamente in mano ai maschi. Negli anni 80 una originale e pluriennale
esperienza di ascolto reciproco tra le cattoliche statunitensi e i rispettivi
vescovi aveva cominciato a produrre una bozza di documento assai interessante ed
aperto, ma la Curia papale interveniva per esigere che non si parlasse di "uguaglianza
nella condivisione e responsabilità", ma di "complementarietà",
che si esplicitasse la condanna della contraccezione e che si escludesse dalla
discussione ogni riferimento al tema dell’ordinazione sacerdotale della donna.
A causa di tale interferenza sia le donne che i vescovi nordamericani compresero
che era inutile continuare il dialogo.
Del disagio delle donne si è fatta interprete, a nome di un
milione circa di suore, l’Unione Internazionale Superiore generali (Uisg), che
fece pervenire al Sinodo dei vescovi sulla vita religiosa un ferma
sollecitazione "per porre fine alla dicotomia spesso marcata tra le
dichiarazioni della Chiesa ufficiale circa la dignità della donna e la pratica
attuale di discriminazione, nonché per includere più completamente le donne
competenti nei processi di riflessione e nei ministeri ecclesiali, ivi comprese
le posizioni chiave nei dicasteri della Curia" (1994). Questa saggia e
rispettosa petizione non ha trovato alcun ascolto in Vaticano.
n La sessualità
Wojtyla ha ribadito con forza le normative papali esistenti
in materia, dal "si" alla vita e alla "legge naturale"; al
"no" alla contraccezione e al divieto alle nuove nozze in chiesa dei
divorziati cattolici risposati/e, al "no" all’esercizio della
sessualità nelle coppie di omosessuali, al "no" all’uso del
preservativo in qualsiasi situazione, anche per prevenire il contagio dell’AIDS.
Masturbazione e rapporti prematrimoniali sono stati considerati dal Catechismo
del 1983 "peccati mortali".
Su tutti questi punti Sinodi nazionali, vescovi, teologi e
teologhe hanno espresso riserve di ogni ordine, anche perché la prassi
pastorale dimostrava ogni giorno di più che le decisioni relative all’etica
sessuale, anche di papi precedenti, erano contrarie al sensus fidelium.
La conseguenza – rilevata dagli osservatori religiosi – è che tra il papa e
la maggioranza dell’episcopato, del clero e dei fedeli si è prodotto il più
profondo e silenzioso scisma della storia della Chiesa, con grave danno per lo
stesso Magistero papale.
Analogo discorso vale per il rapporto clero-sessualità.
Wojtyla ha respinto ogni ragionevole proposta di ridiscutere la fondatezza
teologica e la validità pratica della legge del celibato obbligatorio per i
preti della Chiesa latina, nonostante fosse noto che questi ultimi, in una
percentuale alta – soprattutto in certe regioni – non osservavano il voto di
castità. A fronte dell’esodo massiccio di sacerdoti negli ultimi 30 anni
(80.000 circa hanno abbandonato il ministero), al crescente invecchiamento del
clero e alla carenza di ministri consacrati nei paesi del terzo mondo, numerosi
episcopati hanno ripetutamente chiesto al papa di consentire l’esercizio del
ministero a ex preti, a uomini sposati, e persino a donne, specialmente
religiose. Nessuna delle richieste è stata esaudita.
Tre scandali relativi alla vita sessuale del clero hanno
scosso il pontificato di Wojtyla, andando sulle pagine e TV di tutto il mondo.
Il primo è venuto alla luce a seguito di documentate rivelazioni da parte di
religiose, stanche di subire violenze sessuali, non esenti da ricatti, da parte
di sacerdoti, soprattutto in Africa. Su questo problema nessun intervento
significativo è stato fatto da Wojtyla.
Il secondo è scoppiato negli USA, attizzato dalle richieste
di indennizzi miliardari da parte di migliaia di fedeli che erano stati
violentati nella loro adolescenza da sacerdoti pedofili. Di fronte al clamore
mediatico il papa si è visto obbligato a richiamare a Roma vescovi e cardinali
nordamericani, alcuni dei quali sono finiti sotto inchiesta da parte della
magistratura per aver deliberatamente coperto, nel corso di decenni, gli abusi
sessuali compiuti da centinaia di ecclesiastici.
Il terzo scandalo ha fatto seguito al precedente: da anni si
sapeva che molti appartenenti al clero erano persone omosessuali. Questo
problema, reale ma nascosto, è venuto alla luce del sole sotto il pontificato
di Wojtyla. In tale contesto, nel 2002 la Congregazione per il culto divino ha
emanato una normativa – giudicata "discriminatoria" dai gruppi di
omosessuali cristiani – in cui si definisce "sconsigliabile",
"imprudente" e "rischiosa" l’ordinazione
sacerdotale di omosessuali.
n
Diritti umani
La figura di Giovanni Paolo II è indubbiamente associata
alla difesa dei diritti della persona umana nelle varie dimensioni sociali,
economiche e politiche. Sono assai numerose le occasioni in cui egli ha preso
posizione nei confronti dei poveri, degli emigranti, dei soggetti sfruttati e
mal pagati, soprattutto se bambini e donne, comunque sottoposti a leggi o a
governanti che violavano la dignità umana.
Questi generosi appelli all’ottemperanza dei diritti
fondamentali nella società non hanno trovato però corrispondenza all’interno
della Chiesa romana, in cui vigono due opposti principi: uno valido ad extra,
per cui la società secolare deve concedere alla Chiesa il diritto alla libertà
religiosa; ed uno valido solo ad intra, per cui nella Chiesa "non si
può fare appello a questi diritti dell’uomo per opporsi agli interventi del
magistero" (Istruzione sulla vocazione del teologo, 1990).
Questa contraddizione è rivelatrice della situazione della
Santa Sede, che si è venuta a trovare nell’imbarazzante primato negativo
riservato ai paesi segnati da dittature, avendo sottoscritto solo 10 dei 103
accordi internazionali sui diritti umani (Human Rights Law Journal). In
particolare il papato romano non ha ancora ratificato nessuna delle Convenzioni
sulla soppressione delle discriminazioni basate sul sesso, la libertà d’insegnamento,
il giusto processo. Contrario ai diritti umani è il meccanismo giudiziario,
specialmente dell’ex Sant’Offizio, che non prevede né una netta distinzione
tra giudice e accusatore, né una chiara e pubblica "lista delle
accuse", né una reale possibilità di appello.
La Santa Sede non ha mai acconsentito a eliminare dal proprio
ordinamento canonico quella discriminazione, denunciata dal Concilio, che
impedisce alle donne cattoliche di accedere a qualsiasi responsabilità
direttiva nella Curia. Il Vaticano è peraltro restio a riconoscere i normali
diritti "sindacali" ai propri lavoratori (sacerdoti o religiose), in
caso di licenziamento o rimozione.
n
I "mea culpa"
Soprattutto nei suoi viaggi internazionali, Giovanni Paolo II
ha espresso decine di "mea culpa" per comportamenti passati dei
"figli della Chiesa": le Crociate, l’antisemitismo, l’Inquisizione,
le guerre di religione, l’invasione dell’America nel nome della "vera
religione", lo schiavismo, l’oppressione di interi popoli.
Il 12 marzo 2000 Wojtyla, con cardinali ed alti dirigenti
delle Curia romana, ha celebrato la "giornata del perdono", con l’ammissione
di sette "confessioni di colpe" commesse dai "figli
della Chiesa" nel servizio della verità; nei rapporti con gli Ebrei;
nei comportamenti contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto
delle culture e delle religioni; in atti che hanno ferito la dignità della
donna e l’unità del genere umano; con peccati nel campo dei diritti
fondamentali della persona.
Questo gesto non ha portato però l’intera Chiesa romana ad
interrogarsi sulle ragioni di fondo di quei peccati che si sono protratti per
secoli, senza che teologi, vescovi e papi li avessero riconosciuti come contrari
sia ai diritti fondamentali della persona umana che al Vangelo.
Seppur contraddittorio il "mea culpa" di Wojtyla ha
comunque sollecitato anche episcopati nazionali ad intraprendere la stessa
strada.
n Santi e Beati
Desideroso di dare visibilità alla santità della Chiesa
cattolica, macchiata da scandali, contraddizioni e divisioni, Wojtyla ha
provveduto a proclamare più santi e beati (circa 1800) di quelli fatti dai papi
degli ultimi quattro secoli.
Tale politica "inflazionistica" ha lasciato
perplessi molti, cattolici e non, data la procedura segreta, costosa e
teologicamente ambigua del riconoscimento stesso della santità, quasi sempre
legata ad uno stato non matrimoniale. In altri casi l’ambiguità è stata del
tutto evidente, come quando il 3 settembre 2000 Giovanni Paolo II ha voluto
beatificare insieme due papi, Pio IX e Giovanni XXIII: l’uno che definì
"delirio" il principio della libertà religiosa e l’altro che
volle un Concilio perché proclamasse come intangibile il suddetto principio.
Pio IX aveva poi oggettivamente sostenuto quelle violenze contro gli ebrei di
cui pure Wojtyla aveva chiesto perdono solamente sei mesi prima.
Molti cattolici hanno criticato il papa per aver beatificato
e canonizzato a tempo di record José Maria Escrivá de Balaguer (morto nel
1975), sostenitore del regime franchista e fondatore dell’Opus Dei,
istituzione ricca, potente e per molti aspetti segreta; mentre nel contempo ha
lasciato nel cassetto la causa di beatificazione di mons. Oscar Romero,
arcivescovo di San Salvador, accanito difensore dei poveri e martire della
giustizia, assassinato da una dittatura militare (1980).
Anche l’eccessiva enfasi posta da Wojtyla sul culto
mariano, ha spesso incoraggiato – al di là delle intenzioni – gli aspetti
meno evangelici della religiosità popolare e creato difficoltà nel cammino
ecumenico.
n
I viaggi
Papa Wojtyla ha compiuto 102 viaggi internazionali, toccando
i cinque continenti. Questi viaggi hanno messo in evidenza, in modo
paradigmatico, la sua audacia nel proporre il messaggio evangelico anche in
paesi non cattolici e nell’affrontare grandi fatiche, soprattutto con il
progredire dell’età e di vari malanni fisici. Ha certamente avuto modo di
verificare e denunciare spesso l’entità della miseria e dell’ingiustizia di
fronte a masse di poveri costretti a vivere in immense baraccopoli e senza
servizi essenziali.
E tuttavia tali viaggi sono stati oggetto di malumori e
critiche all’interno della Chiesa cattolica per molte ragioni: mentre il papa
enfatizzava il suo ruolo di pellegrino in visita ad una comunità, di fatto era
ricevuto come capo di stato, con i dovuti onori militari. Il costo delle
manifestazioni di massa ricadeva sulla Chiesa locale, o su ambigue
collaborazioni con multinazionali. Il tempo e le occasioni per conoscere la
realtà della Chiesa locale e per interloquire con i fedeli era ridotto
praticamente a zero. Capi di stato hanno fatto a gara per averlo al loro fianco
e apparire come devoti fedeli davanti ai propri concittadini, non sempre
entusiasti per tale complicità. Scandalosa, in particolare, è apparsa l’intesa
sorridente tra il papa e il generale golpista e assassino Augusto Pinochet dal
balcone del palazzo presidenziale di Santiago del Cile (1987).
n
I media
Wojtyla ha compreso l’importanza dei media per imporsi all’attenzione
del mondo e diventare una specie di "star" internazionale. E’
innegabile che attraverso l’uso dei media, in particolare della TV, di facile
comprensione per i settori meno istruiti, Giovanni Paolo II ha avuto la
possibilità di sottolineare con forza valori universali, diffondere la Buona
Novella e introdurre tante persone alla solennità di celebrazioni liturgiche,
anche di massa.
Tuttavia, nel privilegiare l’uso quasi quotidiano della TV
per ogni tipo di udienza, messe, rosari, pellegrinaggi, viaggi, incontri con
capi di governo e diplomatici, non poteva non cadere nelle trappole strutturali
dello "star system", che ha un legame indissolubile, anche di
tipo mercantile, con l’industria dell’intrattenimento, non con la cultura.
In sostanza il papa, affidandosi alla TV, non ha potuto evitare che la sua
apparizione scivolasse nello "spettacolo", finalizzato alla seduzione
e all’applauso, non alla riflessione o al discernimento. Se lo
"show" per sua natura illude e crea una realtà virtuale e
affascinante, anche lo spettacolo di moltitudini oranti o plaudenti finiva per
diventare ingannevole, dando la sensazione illusoria che la Chiesa cattolica
resisteva e superava la crisi imposta dalla secolarizzazione dominante.
Di conseguenza non meraviglia che nelle immagini televisive
siano scomparsi vescovi, teologi e altro soggetti della comunità ecclesiale.
Per 25 anni il papa "ha rubato la scena", con vescovi e cardinali nel
ruolo muto di semplici "comparse". A miliardi di persone, di fatto, il
papa ha mandato un messaggio subliminale così sintetizzabile: "io sono
la Chiesa e la Chiesa è nulla senza di me".
Se lo star system ha favorito la papolatria, il suo
rovescio è stato l’oscuramento del resto della Chiesa cattolica.
n
Giustizia
Gli ammonimenti papali in difesa di poveri, emarginati,
bambini ridotti in schiavitù, donne discriminate, anziani abbandonati
potrebbero formare una enciclopedia. Giovanni Paolo II ha parlato contro una
globalizzazione in atto, considerata "una forma di colonialismo"
ed ha chiesto un "sussulto di moralità di fronte ai drammatici problemi
economici, sanitari, sociali". Ha definito "strutture di
peccato" il libero mercato e la globalizzazione selvaggia. Ha invitato
tutti a non rassegnarsi "a un mondo in cui altri esseri muoiono di fame,
restano analfabeti, mancano di lavoro". A Santo Domingo ha invitato l’assemblea
dei vescovi latino-americani a "rinnovare la scelta preferenziale dei
poveri" e ad "evitare qualsiasi connivenza con i responsabili
delle cause della povertà" (1992).
Mentre il papa parlava in tal modo, le statistiche indicavano
impietosamente che i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre
più poveri; che le 15 più grandi imprese avevano un reddito lordo che superava
il PIL di 120 paesi; che il 75% della popolazione mondiale utilizzava solo il
15% dei farmaci (l’Africa appena l’1%); che ogni vacca europea godeva di un
sussidio statale di 2 euro al giorno, pari alla somma con cui quotidianamente
viveva ogni persona della massa dei due miliardi di poveri della popolazione
mondiale.
Se negli ultimi due decenni l’ingiustizia planetaria ha
assunto un tono quasi tragico; se 86 paesi, nel 1996, stavano peggio di 10 anni
prima, ciò ovviamente non poteva essere attribuito al papato romano,
predicatore della giustizia. Resta il fatto che milioni di baraccati, di
assetati, di affamati, di malati, di disoccupati non hanno trovato nel papa
romano un referente da cui partissero – come era accaduto per questioni come l’aborto
o il controllo demografico (Conferenze del Cairo e di Pechino) – concrete
campagne religiose, seri interventi diplomatici, severe ammonizioni ai politici,
tenaci pressioni sui vescovi, per analizzare le cause e ad impostare terapie
atte a contenere l’ingiustizia devastante.
Poveri e animatori di organizzazioni sociali si sono chiesti
come mai i telegiornali riferissero delle udienze private che il papa riservava
a capi di stato, campioni dello sport, ricchi epuloni; mostrando ben raramente
il pontefice seduto attorno ad un tavolo con dirigenti delle organizzazioni
contadine, con le vittime della repressione politica e con le persone impegnate
nel cambiare il disordine sociale, economico ed ecologico. Né il papa ha mai
espressamente incoraggiato quei forum mondiali o continentali nei quali
centinaia di migliaia di persone di buona volontà si incontravano
pacificamente, convinti che "un altro mondo è possibile".
n
Pace e ordine internazionale
Wojtyla ha predicato instancabilmente la pace ed ha sempre
difeso il ruolo insostituibile dell’ONU e la sua funzione
"mediatrice" per risolvere conflitti tra nazioni con la diplomazia e
la trattativa, evitando la guerra. Egli ha certamente favorito la caduta
incruenta e pacifica del comunismo nei paesi est-europei attraverso vari viaggi
"missionari" nella nativa Polonia e aiutando, moralmente ed
economicamente, il sindacato polacco Solidarnosc (anche attraverso finanziamenti
concordati con il presidente USA, Ronald Reagan).
Negli anni Novanta la Santa Sede ha favorito la dissoluzione
della ex Jugoslavia, approvando con straordinaria rapidità la proclamazione d’indipendenza
da parte della Slovenia e della Croazia (1992), ma forse sottovalutando i rischi
che i nazionalismi avrebbero innescato nei Balcani dopo lo sgretolamento
selvaggio della Jugoslavia.
La voce di Wojtyla si è levata con puntualità e passione in
occasione delle numerose guerre che hanno devastato diverse aree del globo,
invocando talora – come nel Kosovo – l’intervento militare umanitario per
superare i conflitti più intricati.
Inflessibile è stato il "no" di Wojtyla alle
iniziative di guerra senza l’avallo ONU, come nel caso della guerra in Iraq
(2003), quando contestò la legittimità morale della "guerra preventiva"
anglo-americana. Nel marzo-aprile del 2003 – in occasione della guerra di
George W. Bush contro l’Iraq – le parole di denuncia del papa hanno dato
speranza a molti e molte impegnati per la pace.
Molto problematica risulta la valutazione dell’operato
papale relativo al nuova assetto conseguente alla caduta dell’impero
sovietico, da lui patrocinata, senza che esistessero le premesse per un nuovo
ordine internazionale libero da potenze dominanti. La politica papale, di fatto,
e malgrado esplicite affermazioni verbali contrarie, ha lasciato campo libero
all’egemonia statunitense in ogni settore, apparendo dunque in collusione con
i poteri forti legati alla Casa Bianca, e perciò con l’impero. Di fronte all’avanzata
inarrestabile del capitalismo Wojtyla si è limitato a condannare gli
"eccessi" di questo sistema, ma non la loro "radice", senza
impegnare adeguatamente la comunità cattolica nella riduzione delle abissali
diseguaglianze sociali, soprattutto tra Nord/Sud, nel contenimento della
violenza e nella salvaguardia del creato.
In questa obiettiva "convergenza" vi sono state
delle differenze importanti: il papa ha censurato espressamente le leggi
relative alla contraccezione e all’aborto, varate dal governo americano del
"progressista" Bill Clinton, ma ha evitato di condannare con la stessa
chiarezza quello "conservatore" di George W. Bush, nonostante questi
abbia dichiarato di voler "agire senza l’accordo di organismi
internazionali", e di considerare come propria missione quella di
"liberare il mondo dal male" e "la guerra non come un
pericolo ma come una opportunità per portare ovunque la libertà, il diritto e
la giustizia".
Anche se qualche volta Wojtyla ha levato la voce contro la
"corsa agli armamenti", questa protesta in realtà è stata flebile e
non è mai giunta ad una opposizione esplicita al complesso
finanziario-industrial-militare, la cui enorme potenza impedisce di giungere ad
un nuovo ordine mondiale senza eserciti "nazionali" e,
conseguentemente, di dirottare le risorse finanziarie verso i bisogni primari di
miliardi di indigenti.
Un papato più "di parte" che
"equilibrato"
Pur consapevoli delle difficoltà di un giudizio globale in
tempi così ravvicinati, la somma dei fatti e degli scritti di Giovanni Paolo II
ci inducono, comunque, a riputare che il suo pontificato sia stato più
"romano" che "cattolico".
A noi sembra infatti che, al di là delle virtù personali e
della retta intenzione, la tendenza complessiva del magistero e dell’azione di
papa Wojtyla sia stata quella di privilegiare "la parte" piuttosto che
"l’insieme".
La filosofia e la teologia di Giovanni Paolo II
si sono saldamente basate sulla sua tradizione polacca (una "parte"
degna di tutto rispetto), ma non hanno potuto integrare "l’insieme"
delle correnti innovative: di qui il conflitto con il pensiero laico, le
religioni non cristiane, le Chiese non cattoliche e le teologie non
tradizionaliste.
Sul piano etico il papa ha posto l’accento sull’importanza della legge
naturale, sottovalutando, però, il fatto che ogni giudizio etico non può
prescindere né dalla storicizzazione di tale "legge", che per molti
aspetti è legata alle cangianti culture dei popoli, né dal giudizio ultimo
della coscienza personale.
In politica Wojtyla è stato fiero avversario del comunismo e, in parte,
del capitalismo. Ma questo sforzo di "equilibrio" non ha retto alla
prova dei fatti perché, caduto l’impero sovietico, "l’insieme"
mondiale si è sbilanciato completamente verso "la parte" capitalista
– altrettanto inumana ed atea – a tal punto che la Casa Bianca oggi decide
di iniziare una guerra "infinita" senza chiedere il permesso a
nessuno.
Nella gestione ecclesiale
risulta ancor più macroscopico è lo squilibrio tra "la parte" a
detrimento dell’"insieme": qui è risultata insignificante l’integrazione
tra il centralismo papale e la collegialità episcopale; tra Gerarchia e popolo
di Dio; tra la ricerca teologica e la predicazione ordinaria.
Anche leader religiosi non cattolici e molte persone nel
mondo riconoscono in Giovanni Paolo II il rappresentante di una religione
ammirevole per molti aspetti, ma che si è presentata nei fatti
più esclusiva che inclusiva,
più monarchica che democratica,
più occidentale che universale,
più romana che cattolica.
Noi Siamo Chiesa- Italia
(aderente all’International Movement We Are Church-IMWAC)
"Noi
Siamo Chiesa" Internet : www.we-are-church.org/it