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"Non abbiate paura"
(considerazioni del docente Dentoni sulla "Giornata Mondiale della Gioventù",
con contorno di altri commenti e testimonianze )

Sommario

commento di Stefania Ruggeri (ex-alunna) (20.08.2000)

commento del docente Dentoni "Non abbiate paura" (22.08.2000)

testimonianza di Marica Nobile (ex-alunna) (05.09.2000)

commento di Alice Sordini (ex-alunna): GMG e "fanatismi" (06.05.2001)

commento di Emanuele R. (studente 4 liceo): sui "papaboys" in occasione della morte di Giovanni Paolo II (12.04.2005)

considerazioni del docente Dentoni: sui "papaboys" e sulla scomparsa di PapKarol Wojtyla (16.04.2005)

tentativo di bilancio del pontificato di Karol Wojtyla: della Associazione "Noi siamo Chiesa-Italia" (09.04.2005)

 




In data 20.08.2000, proprio il giorno conclusivo della "Giornata Mondiale della Gioventù" ho ricevuto da un ex-studente del Malpighi (archivista e "backstage" del nostro progetto "IRC parliamone: non nuoce alla salute" nel 1996-97), la seguente e-mail:
 

Qui Melone Massimiliano a Francesco Dentoni, passo...

Salve ... le scrivo per spedirle un documento che la signorina Ruggieri Stefania ha scritto in occasione del giubileo dei giovani a Tor Vergata, le assicuro che è un documento che merita attenzione.

Vorrei dire a tal proposito che non sono personalmente in accordo con tutte le paure che manifesta Stefania, ma una cosa di certo mi spaventa, ossia i tratti sempre più marcati di fanatismo e platealità che la chiesa ed il papa incoraggiano nelle loro manifestanzioni. Mi spaventa oltremodo l'enorme attenzione e il grande dispendio di energie, denaro e tempo degli organizzatori e del comune (soprattutto di Rutelli), e rifletto sul fatto che lo stesso Rutelli non si è assolutamente dimostrato così disponibile in occasione della manifestazione dei Gay. Quindi in definitiva penso che ha fatto bene il giornale "Liberazione" a titolare "Papa Pride".
 

 


In allegato, Massimiliano mi ha inviato questo testo di Stefania Ruggeri, ella pure ex-studente dello stesso anno, e collaboratrice al progetto "IRC parliamone: non nuoce alla salute". Dal contesto, mi sembra di capire che si tratti di una lettera che lei ha inviato al quotidiano "Liberazione" (e che, forse,  vi è stata pubblicata con il titolo "Papa Pride").
 

Agosto 2000

TOR VERGATA: CONSAPEVOLEZZA O FANATISMO?

Guardando le immagini di più di 2 milioni di giovani riuniti insieme non posso non avere paura. Questa sensazione proviene dal fatto che sono lontana dalle motivazioni che li hanno spinti lì, non li sento ragazzi come me ma diversi, o sono io la diversa?
In tutta questa settimana li ho visti in giro per Roma, hanno invaso il mio quartiere i parchi della città, tutto però con grande compostezza discrezione: niente schiamazzi notturni, disordini o altro, quando perfino nelle gite scolastiche possono capitare! E allora da un lato mi sento loro vicina per il senso di civiltà ed il rispetto verso la città, ma dall’altro mi chiedo se in questo sono guidati dalla loro razionalità o più da una sorta di “religiosa sottomissione” all’ordine ed alla disciplina!
Ho paura, anche perché vorrei nella mia vita far parte di un gruppo così numeroso con il quale condividere ideali e speranze, ma fra tutte le manifestazioni del mondo, non so se ce ne sia una nella quale non avrei riserve riguardo al modo in cui viene gestita o strumentalizzata. E mi chiedo se questi giovani abbiano delle riserve sugli atteggiamenti della chiesa e in primis del papa nei loro confronti: ci sono tra loro giovani non illibati o omosessuali o altro? Perché sono così tranquilli e pacifici? Forse perché non stanno combattendo contro qualcosa o meglio in certi momenti sembra che lo facciano, contro tutte le ingiustizie del mondo eccetto ovvia-mente che contro quelle non riconosciute dalla chiesa.
Allora io ho paura perché mi chiedo se un uomo che debba assumere personale, preferi-rebbe un militante di Greenpeace (con magari qualche denuncia di disturbo della quiete pub-blica) o uno di questi giovani che alla fine dei conti dà garanzia di rispetto, umiltà e pazienza!
In questi giorni mi é capitato di deridere questi ragazzi che vanno in giro con i loro pass al collo, i loro canti, camminando per ore sotto il sole invece di aspettare l’autobus e vanno a dormire in tende o nelle scuole rigorosamente separati e vigilati maschi e femmine! Però non posso fare a meno di chiedermi perché lo facciano: cosa li spinge a mettere il loro corpo a così dura prova? Stanno conciliando fede e ragione oppure sono vittime di un fanatismo di portata mondiale? Non sono anche essi strumentalizzati come qualsiasi altro manifestante sprovveduto?
Ho paura: se con questo atteggiamento conquisteranno il mondo, cosa ne sarà di me? Mi “tollereranno”?

Stefania Ruggieri


Non voglio sottrarmi a questo invito alla riflessione, e ci proverò, prefiggendomi di non spendere più di una mattinata per pensare e scrivere:
 

 
"Non abbiate paura"

Cara Stefania,
permettetemi di prender spunto dal tuo intervento per esporre in ordine sparso alcune riflessioni.

[Innocui]
Non credo che per ora ci siano motivi di avere paura. I giovani che abbiamo visto a Roma in questa metà di agosto mi sembrano innocui.
Certo bisogna stare attenti,

Ma fondamentalmente giovani di questa pasta sono innocui.
 

[Anzi, mansueti]
Anzi, caso mai si debba fare una critica, la più immediata dal punto di vista del sociale, del costume e della politica, è che questi giovani sono troppo innocui.
Basta guardare la benevolenza (in alcuni casi  veramente leccosa e sdolcinata: cose che faranno schifo ai giovani stessi, spero) con la quale sono stati visti, ritratti, e idealizzati.
Giovani che credono nei valori, nei sentimenti, nella famiglia , nella solidarietà, nella "vita", nella pace... [traduzione: questi giovani non si drogano, non mettono incinte le nostre figlie, non fanno né scippi  né rapine, sono contro l'aborto, non diventano terroristi e non frequentano i centri sociali]; se hanno qualcosa da dire non protestano ma sono comprensivi e costruttivi; non chiedono e non pretendono; non si interessano dei grandi problemi del mondo, e li lasciano ai poteri occulti. Se il mondo va male, puntano sul creare nuove relazioni umane, cercano il rimedio in un "supplemento di spirito", limitano i l proprio orizzonte al contributo personale e vissuto.... Insomma, la politica la lasciano agli adulti.
Mi sembra evidente che sono tanto apprezzati proprio perché non rompono le scatole; finalmente hanno rinunciato a quello che sembrava il ruolo dei giovani: mettere in questione la società esistente, le sue false sicurezze, la sua diseguaglianza strisciante, la sua mancanza di apertura al futuro. E siccome mi pare che uno dei punti forti del migliore cristianesimo stia proprio nel mettere in questione la società esistente, le sue false sicurezze, la sua diseguaglianza strisciante, la sua mancanza di apertura al futuro, mi sembra chiaro che questi giovani vengono tanto lodati proprio perché non sono più veri giovani, e non sono nemmeno cristiani pericolosi ed alternativi.
Un po' sconsolante. Ma sono anni che questo trend avanza nella società; era forse il 1996 quando in un documento al collegio dei docenti mi sono dichiarato contro il progetto strisciante di dar vita ad una nuova specie umana: lo "iuvenis mansuetus".
 

[Generici e superficiali, temo]
Il pacifismo, il cosmopolitismo e il (moderato) ecologismo di cui i due milioni di giovani venuti a Roma si sono dichiarati portatori, non credo che abbia una anima profonda: sa di quelle verniciature generiche che una volta, per la verità, si ammannivano ai bambini (non ai giovani). Ad esempio, per una settimana hanno inneggiato alla pace. Ma di quei due milioni, ben più della metà erano italiani: che cosa pensavano della guerra che non più di un anno fa l'Italia ha combattuto in Kosovo? Non ne ho sentito una sola parola. Un pacifista che non si pronuncia su questioni del genere, è sulle nuvole.
Il pacifismo autentico non si alimenta di slanci generici (che una volta si leggevano nelle letterine dei bambini a Babbo Natale, e oggi ahimè si ascoltano nelle allocuzioni del papa, nelle parole dei giovani, e nei pietosi sermoncini dei telecronisti): deve avere un qualche retroterra culturale [e non ve ne è uno solo: di pacifismi ve ne sono vari tipi]; ad esempio c'è un pacifismo antimilitarista (che però ha matrice ben poco cattolica, a parte don Milani), ecc. ecc. ecc.
Voi avete capito quale è il presunto pacifismo di quei due milioni di giovani? Giacché mi sembra demenziale rifarsi presuntuosamente al "pacifismo cattolico": quale? quello di "beati i pacifici" o quello di "non sono venuto a portare la pace ma la spada"?
 

[Forse troppo ingenui]
E poi, mi sono sembrati troppo ingenui:

Alla fine del secondo millennio forse potremmo chiedere ai giovani un maggiore senso critico, e una maggiore consapevolezza?
 

[Fanatici? Non mi sembra]
Per come li ho visti, i "due milioni" di giovani non mi sono dispiaciuti nell'aspetto. Giovani, vivaci, vitali.
Non fanatici coi paraocchi, ma assolutamente normali.
Troppo disciplinati? Forse un poco ricattabili da chi li ospitava, ma credo (e spero) che i loro comportamenti siano stati spontanei e naturali. Forse un po' caciaroni, ma non più di tanto.
Per sapere se il loro comportamento sia stato così esemplare, aspettiamo di rientrare nelle scuole, e sentire un po' più da vicino racconti meno mielosi. Ma credo che si possa darlo per vero.
E' un fenomeno difficile da spiegare? Non credo; sotto gli occhi di tutto il mondo, i giovani fanno tutto e il contrario di tutto: la notizia crea il fatto, molto più di quanto il fatto crei la notizia. E se la notizia è che una moltitudine colorata, allegra ed educata ha invaso Roma, il fatto [reale, non immaginario] è che una moltitudine colorata allegra ed educata ha invaso Roma.
Anche una scolaresca, che di solito è sguaiata e parolaia, in certe occasioni esterne, soprattutto se solenni e impegnative, diventa esemplare. Non parliamo poi quando devono fare una rappresentazione teatrale: li vedi trasformati e "protagonisti" ("irriconoscibili", dicono alcuni docenti). Ebbene, cosa è stata, la settimana dei giovani a Roma, se non una immensa rappresentazione teatrale?
 

[Gregge passivo]
Piuttosto, li ho visti, nella sostanza, inquadrati, intruppati, passivi.
Mi ha colpito molto la radicale mancanza di democrazia in tutta questa enorme manifestazione.
Sono stati convocati dagli adulti, su temi scelti dagli adulti, con programmi decisi dagli adulti, con discorsi e messaggi fatti dagli adulti.
C'è una organizzazione di giovani dietro questi raduni? Ci sono dei portavoce che rappresentano la base? Esiste una elaborazione dal basso, o il tutto è un colossale processo unidirezionale (dall'alto verso il basso)? Hanno avuto da dire qualcosa, od hanno solamente ascoltato, assentito, applaudito?
Sui vari palchi non ho visto dei giovani protagonisti: solo ministri e cardinali; con intorno i giovani a fare la claque...
Non chiameremo protagonisti le marionette scelte a fare i "presentatori" (e secondo voi, ogni virgola di quello che hanno detto, non è passata al vaglio di qualche monsignore?). Non chiameremo partecipazione la "testimonianze" costituite dalle singole interviste, manipolabili proprio perché rigorosamente singole.
Non ho trovato un solo giovane che abbia parlato come portavoce di un gruppo auto-organizzato.  Ognuno è venuto a titolo strettamente privato, in un unanimismo falso e sconfortante.
Queste sono cose grosse! Quelli lì, che hanno organizzato questa colossale messa in scena, sono gente che crede nei giovani? che ha fiducia nei giovani? No, mi sembra proprio di no. Altrimenti non li avrebbe considerati muti e incapaci di pensare, progettare, decidere.
Per fare dimenticare tutto questo, non basta che con una buona dose di ipocrisia i telecronisti si siano profusi nell'esaltare il "dialogo" fra i giovani e il papa. "Ola" e applausi da un lato, e cenni di saluto dall'altro costituirebbero un "dialogo"? Se fosse così, allora a me, che sono il più orso del Malpighi, dovrebbero dare un Nobel in comunicazione.
 

[La penosa ubriacatura dei numeri]
Vorrei limitare, per brevità, le riflessione sul parlare che si è fatto sui numeri, e sul rapporto fra "successo della manifestazione" e numero dei partecipanti, che ho visto ai vertici delle considerazione di tanti, laici ed ecclesiastici.
In primo luogo mi sembra molto pagana (o se volete berlusconiana, ma senz'altro non cristiana) la ideologia del "successo" (c'è tutta una teologia cristiana del "piccolo gregge", degli "ultimi che saranno i primi", che fa a pugni con la ubriacatura di trionfalismo a cui abbiamo assistito).
E poi, siamo generosi: diciamo che c'erano tre milioni di persone (tanto, lo sappiamo, i numeri nelle manifestazioni sono come i misteri: diventano veri perché nessuno può dimostrare il contrario). Ma qualche anno fa Berlusconi in poche settimane dice di avere messo insieme (a Piazza San Giovanni) un milione di persone: qualcuno di voi lo ricorda? E senza finanziamenti statali, senza pubblicità, senza leggi speciali, senza preparazione: così, schioccando le dita . Tre milioni da tutto il mondo, con tre anni di preparazione e di strombazzi, con centinaia (ma secondo me migliaia) di miliardi stanziati, con una rete capillare laica ed ecclesiastica, per chi ama i grandi numeri non mi sembra straordinario: appena decente.
 

[Quali contenuti?]
Ma quello che a me, dal mio punto di vista, maggiormente interessa, sono alcuni temi di principio.
Perciò voglio ora in breve passare criticamente in rassegna quelli che mi sembrano essere stati i contenuti di queste "giornata mondiale della gioventù", al di là dei programmi ufficiali:

[Vedo grigio. Ma non sarà facile estirpare la libertà e la ragione]
Per il futuro io non sono molto ottimista. C'è oggi, fra gli adulti non meno che fra i giovani, poca razionalità e molta voglia di lasciare perdere i problemi, essere superficiali, prendere il mondo e la vita come vengono (cioè come altri hanno deciso che sia).
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A seguire, è giunto il commento di un'altra ex-alunna della sezione F, che riferisce delle sue impressioni di prima mano sul "papa pride" di Tor Vergata:

From:  nobile <@tiscalinet.it>
To: <f.dentoni@flashnet.it>
Subject: Navigando si incontrano siti interessanti!
Date: Tue, 5 Sep 2000 16:32:52 +0200
 

Salve!
Sono Marica Nobile (maturità 1997) ed in una calda serata d'Agosto trascorsa a Castel Sant'Angelo con altri ex alunni (tali Massimiliano Melone e Stefania Ruggieri) ho scoperto l'esistenza di questo sito e del dibattito innescato da Stefania sulla Giornata Mondiale della Gioventù.
Ebbene sì, la mia rinomata curiosità mi ha spinto a leggere il documento della mia ex compagna di classe e se le interessa ho delle opinioni da proporle come "testimone oculare del Papa pride di Tor Vergata"... Anche Stefania e Massimiliano sono rimasti sorpresi nello scoprire che la loro amica vs-IRC, non illibata e profondamente legata alle tematiche femministe alla Susan Moller Okin si era recata in pellegrinaggio (è nota anche la mia avversione per le camminate!)  fino alla "spianata di Tor Vergata", ed incuriositi da ciò hanno voluto conoscere le mie opinioni della manifestazione vista dall'interno.
Beh, quello che ho visto contrasta un pò con le immagini proposte a ripetizione dalla televisione: i quattro chilometri che separavano la metropolitana dall'area della manifestazione erano ricoperti da rifiuti, per lo più i resti dei contenitori di cibo della protezione civile (forse allora noi giovani abbiamo un pò meno rispetto della città di quanto ce ne attribuisca Stefania), e gruppi di ragazzi di tutte le nazionalità bivaccavano (e non proprio in religiosa sottomissione) lungo il tragitto. La spianata era invasa da ragazzi (se possiamo chiamare ragazzi persone per lo più intorno ai 35 anni) la cui attività preferita era evitare accuratamente di ascoltare qualsiasi cosa provenisse dagli altoparlanti, preferendo concentrarsi su danze, canti, lotta greco-romana oppure sulla fusione delle posate di plastica fornite dall'organizzazione per altri scopi ( spero ).
La mia modesta opinione è che questa marea umana sia stata attratta dalla possibilità di "stare insieme" e la assicuro che Fregene è esattamente come il Portogallo, ma se il Portogallo costasse come Fregene perchè la differenza viene pagata dalla Chiesa Cattolica, chi non approfitterebbe? E poi parliamoci chiaro, in un mondo in cui una soluzione facile per tutti i problemi non c'è, è bello nascondersi dietro l'amore infinito di Cristo per qualche giorno e riassaporare, anche solo per un momento, la sensazione che ci dava da bambini lo stare in braccio alla mamma. Sono certa che nessuno di quei ragazzi sia convinto che "la fede può tutto" e segua pedissequamente la dottrina cattolica, perchè esattamente come insinuava Stefania molti di loro non sono più illibati, molti sono omosessuali o semplicemente condannano alcuni atteggiamenti della Chiesa (vedi il maschilismo, il conservatorismo nei confronti di temi come la sessualità o la politica demografica del contollo delle nascite), e allora?
Allora niente: loro sono partiti così come erano e tali sono rimasti con grande sconforto dei media che hanno tentato in tutti i modi di dipingerli come Stefania li ha visti: composti, discreti, civili, sottomessi e pacifici. La verità è un'altra (se la verità esiste e ne sono poco convinta) volevan solo stare un pò insieme a discutere di temi importanti come l'aborto, la pace, il razzismo, esattamente come facciamo Stefania, Massimiliano ed io quando ci incontriamo. Il problema secondo me è un altro: possibile che per discutere ci sia bisogno della GMG? Evidentemente non a tutti basta Castel Sant'Angelo!

Mi auguro di partecipare ad altri dibattiti (i miei compagni già citati ed io ne abbiamo avuto uno molto interessante sulla clonazione umana e sui prodotti transgenici pochi giorni fa): il mio indirizzo e-mail è 040922@luiss.it e se interessa a qualcuno dei nuovi alunni sto scrivendo una tesi di laurea in Filosofia Politica sul Femminismo. Aspetto domande e spunti riflessivi...
A presto
                                                                      Marica

 

segue la risposta del docente Dentoni

Cara Marica, sono contento di sentirti (mi pare che l'ultima volta ci siamo visti ad una manifestazione a difesa della scuola pubblica). Io confondo molto le notizie sugli "ex-" (qualcuno direbbe che li "rimuovo"), ma dallo indirizzo e-mail mi fai "ricordare" che stai studiando alla Luiss. Che avresti fatto una tesi sul femminismo, si poteva presagire, anche senza essere profeti...
Grazie della tua testimonianza (che contribuisce credibilmente a dare un sano senso di normalità a quell'evento) e delle tue riflessioni, che non commento in dettaglio, ma che condivido ampiamente.
Buon lavoro.

f.dentoni

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A notevole distanza di tempo è giunto il commento di un'altra ex-alunna della sezione F, a commento dei testi che precedono (assieme ad una serie di notizie sulle sue interessanti esperienze)

From: "Alice Sordini" <alice.s@flashnet.it>
To: <f.dentoni@flashnet.it>
Subject: LA GMG 2000
Date: Sun, 6 May 2001 13:46:19

... solo adesso leggo quelle mail spedite da ex-alunni riguardanti la Giornata Mondiale dei Giovani 2000. Poi ho letto anche il suo commento. 

Devo dire che la prima cosa che mi è venuta in mente, quando vedevo quei torpedoni recarsi a Piazza S. Pietro e Tor Vergata, è stata "ma chi glielo fa fare!con quel sole! e con quel caldo!". Sinceramente ho pensato che in quel momento non avrei voluto essere nei loro panni. Condivido in pieno quello che lei ha scritto. 

Volevo anche dire, a commento della mail di Marica Nobile, che non tutti i ragazzi che erano lì a Tor Vergata bivaccavano e non tutti hanno partecipato alla GMG per "la voglia dello stare insieme", ci sono molti ragazzi che ci sono andati perché cattolici ferventi. A me questi, mio parere personalissimo e discutibile, sembrano solo degli esaltati. Mi veniva da ridere quando in televisione ho visto i giornalisti chiedere ad alcuni ragazzi se rispettavano il principio secondo cui si deve arrivare vergini al matrimonio! Hanno tutti detto che erano illibati! Ma chi ci crede,dico io! Io penso che gli illibati siano una piccola minoranza. Non voglio dilungarmi su questo tema, mi associo alle sue considerazioni.   

A proposito di giovani e fede, qualche tempo fa sono indirettamente venuta a conoscere persone che sono entrate in una comunità neocatecumenale.

Mi viene quasi da dire che queste persone abbiano voluto subire "un lavaggio del cervello"! Forse l'espressione è troppo
forte...mah. La cosa mi ha un po' disorientato, perché con quelle persone mi sembra che non si possa più essere sulla stessa lunghezza d'onda: ci schiaffano sempre dentro Dio, Gesù e via dicendo; vedono le cose sotto un'ottica che non condivido; sembrano porsi come una sorta di educatori,come se volesse riportare gli altri sulla retta strada...mah! Mi sembra che forse vogliano emulare i preti (o frati) con cui sono a contatto nelle loro comunità... 

Loro dicono che nel primo comandamento Dio dice all'uomo di non crearsi dei falsi idoli ma a me è parso che loro abbiano un'idolo:la comunità e tutto ciò che vi ruota attorno! Forse mi sbaglio ma poi cos'è sta comunità neocatecumenale? mi sembra un po' una setta! Non è nemmeno facile parlare con queste persone, perché se si dice apertamene quello che si pensa, non sarebbe molto delicato....

 

Segue una risposta del docente Dentoni (16.05.2001)

A proposito della GMG, è evidente che molti sono stati presenti perché "cattolici ferventi" e non solo per il piacere di stare insieme (fra l'altro le due cose non si escludono).
Ma il tema che tu sollevi (quello del "fanatismo") è serio, anche se difficile.
Io proverei ad abbozzare questo piccolo "trattatello" in sette punti:

1. Lasciamo perdere, come dici tu, il tema della pratica della sessualità; è un argomento di privacy, che nessuno può controllare. Il buon senso, anche quello cristiano, direbbe che su questo tema si può parlare proponendo l'uso controllato e sereno della sessualità come un valore, ma senza vantarsi personalmente di esserne testimoni, sia per il principio evangelico del "chi è senza peccato scagli la prima pietra", sia per l'elementare popperiano principio che nessuno poi può verificare affermazioni di questo tenore.

2. Per quanto riguarda il "fanatismo", mi sembra chiaro che persino oggi (tempo di integralismi cattolici da non crederci, per chi conosce un po' di storia del nostro secolo) non tutti i cattolici, e nemmeno tutti i cattolici "ferventi" possono essere indicati come "fanatici".

3. Provo anzitutto ad indicare cosa intendiamo con questo termine approssimativo che utilizziamo ("fanatismo": termine che, va tenuto presente, ha sapore dispregiativo, e quindi va usato sempre con cautela, e mai con una persona che tu consideri "fanatica" e dalla quale vorresti farti ascoltare).
Penso anzitutto ad un senso di appartenenza totale eppure superficiale, ostinata ma non convinta, sicurissima ma non profonda. E il segno rivelatore di simile atteggiamento mi sembra la incapacità di ascoltare e capire gli altri, quasi che la propria "fede" si sia interposta fra il proprio cervello e la realtà (un "firewall", direbbe un dottorando in informatica; un "lavaggio del cervello", come dici appropriatamente tu). Invece, io credo che una "fede" autentica (quale che sia) non faccia scudo a protezione della propria personalità (perché in tal modo ne rimane corpo estraneo), ma sia come lo humus vitale delle cellule di tutto l'organismo, e quindi lasci intatte, ed anzi potenzi le vie di comunicazione con la realtà.

4. Quanto in particolare ai neo-catecumenali, mi viene da inquadrarli in questo modo. Semplificando, i "fanatismi" cattolici oggi si presentano in due modalità differenti, che provo a qualificare come "fanatismi freddi" e "fanatismi caldi": quelli "freddi" (integralistici, gerarchici) sono rappresentati da Opus Dei, "Legione di Cristo" e simili; quelli "caldi" (comunitari, pentecostali, carismatici)  sono rappresentati appunto da neo-catecumenali, focolarini, e simili. "Comunione e Liberazione",  mi sembra abbia un po' i caratteri degli uni e degli altri. (Evidentemente, le singole persone non possono essere costrette in "oroscopi" così semplicistici).

5. Di solito si dice che forme di "fanatismo" sono riconducibili a problemi di identità e sicurezza personale. Ma io non sono un esperto di psicanalisi (scienza peraltro che va presa con le pinze, perché anche qui possono nascere fanatismi di altro tipo).
Mi limiterò a dire che secondo me, di fronte a queste forme, proprio per la loro natura, è difficile "cercare di smuovere", "cercare di convincere": ogni critica che viene rivolta a un "fanatico" non fa altro che confermarlo nelle proprie posizioni (come un martello che non può sradicare un chiodo: lo affonda sempre di più).
Qualcuno potrebbe addirittura chiedersi se è legittimo cercare di distogliere il prossimo dalle proprie sicurezze. Ma io penso di sì: non tanto per fare diventare gli altri delle mie idee, ma per potermi fare ascoltare dagli altri, per potere veramente parlare con loro (non con una sorta di essere estraneo che si è impadronito di loro); e per il dispiacere di vedere mortificata, direbbe Kant, la dignità della persona, che sta in un Io profondo, consapevole, libero. 
Però strade corte per questa opera di convincimento non credo che ce ne siano: occorre che la mente di chi cresce venga progressivamente abituata ad esercitarsi in modo consapevole e critico; che venga abituata ad ascoltare e capire le ragioni degli altri, a cogliere la complessità della realtà, della vita e della storia; bisogna crescere con la convinzione che la nostra mente, la nostra libertà, il nostro io è e rimane, nel suo piccolo, il pilota di se stesso (senza mai cedere a nessuno il timone): in una parola, è con la cultura (e nel suo piccolo, con la scuola) che ci si vaccina contro i fanatismi.  Chi ha letto e capito Platone, chi ha ammirato le tragedie greche ed i drammi di Shakeaspeare, chi ha avuto esperienza delle straordinarie vicissitudini storiche attraverso le quali si è costruito il pensiero scientifico, chi ha colto il senso della ricerca artistica nel corso dei secoli, chi ha assistito al faticoso intrecciarsi delle vicende umane ecc. ecc., come potrà mai diventare prigioniero di una sorta di virus che gli occupa e gli ingessa tutte le risorse della sua mente?

6. Che giudizi si sentono in giro sui fanatismi? Mi sembra si possano ricondurre a tre:
a) quelli del tipo che ho svolto io qui
b) quelli, della parte avversa, che accusano le critiche di essere incapaci di capire (perché "solo chi è credente può veramente capire chi ha fede"). Non voglio qui dilungarmi, ma argomenti di questo genere sono trattati, se qualcuno ha la abilità di trovarli, nel secondo documento del progetto "IRC parliamone, non nuoce alla salute", che abbiamo svolto qualche anno fa con una Quinta.
c) quelli, un po' neutrali, che dicono che ciascuno può fare quello che vuole; e che magari, sotto sotto, il fatto di essere un po' fanatici non guasta, se non altro perché statisticamente parlando i neocatecumenali fanno sì un po' più figli della media, ma commettono meno reati, non si drogano e non fanno scippi (oltre ad essere innocui politicamente nei confronti dell'ordine costituito).

7. Molto buona ed azzeccata la tua battuta sugli idoli ("Dio dice all'uomo di non crearsi dei falsi idoli ma a me pare che loro abbiano un'idolo:la comunità e tutto ciò che vi ruota attorno!"). Questo tipo di argomentazioni è forse quello che ha minori possibilità di insuccesso: fare leva su principi profondi ed autentici del cristianesimo, per cercare di scalzare forme di cristianesimo che paiono essere superficiali e deleterie. Se ne potrebbero citare anche altre, a partire dal "grano di frumento che non porta frutto se non muore" e al "rinuncia a te stesso" (e quindi anche al tuo mondo di certezze), fino al discorso sui "falsi profeti" (che chiama in causa la scelta e la responsabilità personale, ineludibile, per decidere se stai seguendo un falso o un vero profeta).

Ho finito qui.
....

francesco dentoni

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Ad alcuni anni di distanza, in occasione della morte di Giovanni Paolo II, uno studente ha riletto gli interventi recenti, e sul tema dei "papaboys" mi ha spedito (12.4.2005) questo commento. Mi riprometto di farvi seguire nei prossimi giorni alcune osservazioni.

Salve professore sono Emanuele Ripiccini della IV F, io sono uno dei tanti cosiddetti papaboys (io non ho partecipato attivamente alla giornata mondiale della gioventù) che ha fatto la vegli per i funerali di Giovanni Paolo II. Ecco io sono cattolico ma non praticante, ma mi è bastato una notte per parlare con persone provenienti da vari paesi del mondo, uno dei quali la cattolicissima Spagna, e capire che io stavo sbagliando qualcosa per quanto riguardasse la vita spirituale. Mi si sono riaccesi dentro quei “valori” cristiani con i quali ogni italiano viene su (a parte eccezioni), d'altronde lei mi insegna che la nostra è una cultura greco giudaico cristiana. Adesso non penso le interessi molto il mio ripensamento, comunque quanto segue è un mio commento alla sua risposta a Stefania Ruggeri per quanto riguarda la giornata mondiale della gioventù (premetto mi sono fermato lì).

lei scrive:
Se il mondo va male, puntano sul creare nuove relazioni umane, cercano il rimedio in un "supplemento di spirito", limitano i l proprio orizzonte al contributo personale e vissuto.... Insomma, la politica la lasciano agli adulti.

Beh certo io da giovane credente le posso dire che se il mondo va male  i primi a ritirarsi sono i giovani che se ne fregano di tutto, l’importante è che la loro “comitiva sopravviva” e si chiudono tra loro ettc..certo c’è chi prega in un intervento provvidenziale, ma che male c’è! Quello che le voglio dire è che se i giovani se ne fregano del mondo che hanno incontro non è colpa della loro “fuga spirituale”, bensì della loro formazione, chi sono, chi frequentano (quello che le ho detto all’inizio di questo capoverso è un motivo fortissimo).

lei scrive:
Giovani che credono nei valori, nei sentimenti, nella famiglia , nella solidarietà, nella "vita", nella pace... [traduzione: questi giovani non si drogano, non mettono incinte le nostre figlie, non fanno né scippi  né rapine, sono contro l'aborto, non diventano terroristi e non frequentano i centri sociali];

Bei termini: la famiglia, sentimenti solidarietà…non è proprio così, ma molti ci credono, io ad esempio (anche se ritengo interessante l’incontro nei centri sociali). Certo questo papa ha cercato di portare i giovani su questa via, ma il problema è quanti lo hanno ascoltato?? Da capo della Chiesa Cattolica, lei sa benissimo, non poteva certo favorire il divorzio o l’accoppiamento prematrimoniale.
Ecco io penso che questo papa sia stato una guida (come lo era inteso nel medioevo tant’è che lo stesso Le Goff ha definito Giovanni Paolo II “il medioevo + la televisione”), abbia lanciato dei messaggi a dei giovani sempre più lontani da un cammino religioso (io mi sento uno di quelli)

lei scrive:
un senso di superiorità ("tutti hanno valori, ma noi abbiamo quelli veri")

Anche qui vorrei precisare un’altra cosa, forse non me lo ricordo, ma penso che mai nella storia della Chiesa di Roma ci sia stato un papa che abbia “osato”, come sostiene qualche cardinale francese, considerare gli Ebrei “fratelli maggiori” e i Musulmani “fratelli della stessa stirpe di Abramo”. I primi per sempre considerati il popolo che uccise il figlio di Dio e i secondi i barbari da combattere e reprimete. Questo papa ha pregato in moschea, al muro del pianto, ha riunito (mi sembra nel 1998) ad Assisi i rappresentanti di tutte le religioni (almeno quelle che hanno aderito). Ha rotto la tradizione di una chiesa il cui unico scopo era convertire considerando infedeli altre credenze. Sinceramente io qui non vedo “un senso di superiorità”(mi ricordo una sua battuta che fece in classe l’anno scorso a proposito dell’incontro interreligioso ad Assisi “riuniamoci ma io sono superiore”). E non è un caso se ai funerali di Giovanni Paolo II si sono presentati esponenti di molte religioni ed in più i grandi della cristianità quali l’arcivescovo di Canterbury, il numero due di Bartolomeo I patriarca di Costantinopoli, e i vari patriarchi orientali tutti insieme ancora una volta nella storia della cristianità.

lei scrive:
non si rendono conto che gli adulti li vogliono così: loro credono di essere nuovi e alternativi, mentre sono esattamente come gli adulti li vogliono. Non ho capito bene, poi, se i giovani questi elogi li hanno accettati o meno: ma mi sembra che non li abbia sfiorati l'idea che si trattasse di elogi interessati e paternalistici

Qui concordo con lei per quanto riguarda il fatto che gli adulti ci manovrano, ma l’essere alternativi, a mio avviso non significa partecipare al giubileo dei giovani, tutto il contrario! Starsene a casa definendo quei due miglioni dei “ciglioni!!” (scusi il termine), a fare i falsi laici per far vedere all’amico che si è contro il “sistema” e allora sei fico, quando non si accorgono che loro stessi vengono a creare un nuovo gregge alternativo al gregge di Torvergata (tanto per capirci) con la sola differenza che quest’ultimo ha dei valori!

Contenuti
Lo stare insieme e fare festa è molto importante, ma concordo con la sua ormai famosa battuta “la vita non è una festa con qualche giorno di lavoro, ma un lavoro con qualche giorno di festa”.
Il senso di questo incontro lei lo ritiene un po’ come un invito a ritornare sulla retta via, ma qui il pericolo non è il luteranesimo, bensì un mondo senza valori, o se ci sono solo valori superficiali, nel quale molti giovani tendono a cadere.
Per quanto riguarda l’amore per il papa, io personalmente quando lo applaudivo era perché percepivo qualcosa di grande nelle sue parole e penso che molti giovani la pensino così almeno spero! Poi i segni di devozione per il papa, quelli esistono da secoli e anzi stanno quasi per scomparire.
Il senso della vita poi, se uno ha fede in Gesù Cristo (sempre che questa parola non sia diventata solo una moda), lo  trova nel cattolicesimo, ma un musulmano è liberissimo di trovarlo nella sua fede.
Non mi sento all’altezza di commentare la sua analisi sulle contraddizioni dei valori cristiani, io da credente riconosco le ambiguità presenti nella dottrina cristiana, volevo solamente dire che la stessa Chiesa di Roma è stata fondata dall’uomo che rinnegò Cristo per tre volte solo per salvare la sua vita (….ma così era scritto..).

Conclusioni
Volevo concludere dicendo che se un giorno la Chiesa (l’istituzione intendo) andasse contro i valori democratici e la stessa democrazia, frutto di lotte che ancora oggi continuano, sicuramente sarà ostacolata dai veri cristiani che sono quelli che credono nei valori della democrazia, non parlo di democrazia cristiana (mi sembra che l’anno scorso, quando studiavamo la teologia cristiana, abbiamo affrontato in classe una possibile comunione tra democrazia e cristianesimo e mi sembra che lei l’avesse ritenuto possibile). Certo poi come lei non sono ottimista per quanto riguarda il gregge, ma noi “non dobbiamo aver paura” di affrontare il mondo che va male.

Cordiali saluti
 
Emanuele Ripiccini

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Alcune considerazioni del docente Dentoni sull'intervento di Emanuele R. del 12.4.2005

Il contributo di Emanuele si inserisce sulla scia della “giornate della gioventù” del 2000, traendo spunto dal fenomeno dei “papa boys”, riemersi all’improvviso al capezzale del papa morente dopo una sostanziale scomparsa dal 2000 al 2005. Questo fenomeno secondo me sarebbe motivo di riflessione: non vorrei che questo “speciale rapporto dei giovani con il papa” sia frutto di una operazione mass-mediatica opera di adulti ben maturi!  I papaboys saltano fuori solo quando i giornali parlano di loro… (non è che loro ci sono e i giornali ne parlano; ma i giornali ne parlano e loro ci sono…).

Che cosa avrebbe detto in concreto questo papa ai giovani, a me sembra –ripeto- un po’ fumoso: “siate coraggiosi, siate impegnati, vivete una vita di valori, …”; ma, io mi domando, dove sta la novità? Non lo insegna, questo, ogni qualunque parroco di periferia o di campagna? Che poi lui in persona lo abbia non solo detto ma testimoniato e vissuto in un modo intenso, nuovo e diverso, questo lo abbiamo creduto da cosa ci ha fatto vedere la TV. Ma lo sappiamo che la TV crea divi in poche settimane… figurarsi in 26 anni… 

Comunque ritengo che nel suo insieme le pacate riflessioni di Emanuele esprimano una posizione su cui c’è poco da commentare: lui ritiene che Papa Wojtyla sia stata una guida che ha saputo parlare ai giovani, e che in generale le sue prese di posizione siano state coraggiose ed epocali.

Su questo secondo punto (che la azione di Karol Wojtyla avrebbe avuto una portata storica immensa) si sono sprecate molte parole. Ma io in genere consiglio tutti a diffidare quando, per la cronaca di oggi, si tira in campo la storia. Oggi la storia è uno dei principali strumenti di manipolazione della verità. Poiché in genere la storia non la conosce nessuno, allora ci si può permettere di fantasticarvi a piacimento. Io che nel mio piccolo insegno storia, mi preoccupo molto quando a parlare della importanza epocale di Giovanni Paolo Secondo sono dei giovani che  non hanno nemmeno una vaga idea di quale governo regge oggi l’Italia (autentico e documentabile); per me significa che ripetono cose non capite ma credute, messe in giro apposta perché siano ripetute acriticamente.

In proposito, allego in coda a questo intervento un commento, di parte cattolica, cioè scritto da credenti, anche se un po’ fuori dal coro. In tema di bilancio di un pontificato, è tra le cose più informate e più giudiziose che ho letto in questi giorni.

Con tutto ciò, non ho intenzione di fare cambiare idea a Emanuele. Le idee sono un bene raro: chi ne ha, è bene che se le tenga.

Rivendico però il mio compito. Compito della scuola è fare cultura, cioè educare al senso critico, al senso della misura, e alla consapevolezza dei limiti. E’ per questo che, al di là delle varie posizioni, e di una unanime partecipazione alla sofferenza di chi con coraggio ha affrontato una sua lotta e ne è uscito sconfitto, penso di dover dire che mi auguro questo: che tutti siamo in grado di renderci conto della ubriacatura di cui siamo stati investiti nei giorni scorsi. Ammirazione, entusiasmo, apprezzamento, riconoscimenti, non giustificano quella specie di isteria collettiva per cui è stato fatto sembrare, a noi italiani, che per vari giorni il mondo intero si sia fermato percosso ed attonito. Questo non avvenne nemmeno quando morì Napoleone, con buona pace di Manzoni.

Volevo commentare solo un punto preciso toccato da Emanuele: che i cattolici non si tireranno indietro il giorno che ci sarà bisogno di difendere la democrazia. Sì, mi sembra un tema interessante: anche io, ad esempio, fra i più convinti difensori dei principi della nostra costituzione, conosco molti cattolici. Ma mi sembra incauto dimenticare:

1) che al tempo del fascismo quasi tutti i cattolici, a partire dal papa, si allinearono all’ordine fascista; e se ci fu qualche attrito col fascismo fu per la difesa di interessi di bottega, non dei diritti di tutti

2) che i cattolici che si batterono (e in molte parti del mondo si battono) per la giustizia e per la libertà, lo fanno molto spesso da soli, isolati e malvisti dalle autorità ecclesiastiche e da Papa Giovanni Paolo II, il quale si fece vedere su di un balcone assieme al generale Pinochet (gesto di significato simbolico enorme, lui che tanto conosceva la comunicazione di massa), e invece fece muso duro contro l’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero, il quale poi fu ucciso perché si era posto con onestà evangelica contro la dittatura del suo paese.

Questi non sono bruscolini o dettagli, mi pare. Ce ne è da pensare, leggere, documentarsi, capire,  per tutti. Tanto da capire, e tanta retorica falsa e fasulla da dimenticare.

Roma 16 aprile 2005

francesco dentoni


Riporto qui un tentativo di bilancio, a caldo, del pontificato di Karol Wojtyla, espressione di un gruppo di credenti (il movimento We are Church) che esprime il disagio di milioni di cattolici -per lo più europei e americani- venutosi a creare durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Si tratta di fedeli, ho motivo di ritenere, fra i più adulti, più impegnati e più consapevoli.  Il motivo per cui riporto questo documento (9.4.2005) è, ripeto, perché lo ritengo fra le cose più informate, più sensate e più condivisibili che si sono lette in questi giorni.

 

CONSIDERAZIONI SUL PONTIFICATO DI GIOVANNI PAOLO II

Associazione "Noi Siamo Chiesa" Italia     -  9 Aprile 2005

 

Senza pretendere di dare un giudizio articolato e complessivo sul pontificato di Giovanni Paolo II, uno dei più lunghi della storia, ci limitiamo a valutare alcuni tra i più rilevanti aspetti della sua gestione, partendo dal rapporto di questo pontificato con il Vaticano II. Del resto, lo stesso ha più volte affermato che l’attuazione del Concilio doveva essere l’aspetto caratterizzante del suo compito papale.

 

n Dialogo inter-religioso

L’indicazione conciliare, espressa soprattutto dalla dichiarazione Nostra aetate, ha avuto sotto Wojtyla sviluppi inattesi e importanti. Sul versante del dialogo con i non cristiani, rimangono nella memoria le giornate di preghiera per la pace, ad Assisi, convocate dal papa nel 1986 e nel 2002, presenti i rappresentanti delle maggiori religioni del mondo. Mai il papato aveva immaginato "vertici" del genere. Per quanto riguarda specificatamente gli ebrei, ricordiamo la sua visita alla sinagoga di Roma (1986) e al Muro del pianto di Gerusalemme (2000). E, per i musulmani, la visita in Marocco (1985), alla spianata delle moschee di Gerusalemme (2000) e alla moschea omayyade di Damasco (2001).

Spettacolare sul piano dei gesti il dialogo inter-religioso voluto da Wojtyla che ha mostrato, però, irrisolte contraddizioni sul piano teologico. Difficilmente la Chiesa di Roma poteva dialogare "alla pari" con altri mentre riteneva la propria religione obiettivamente superiore alle altre, essendo il papa "Vicario di Cristo", unico Salvatore del mondo. Nel 2000 la dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede "Dominus Jesus", che riaffermava la centralità di Cristo e della Chiesa romana sul piano divino della salvezza, metteva a nudo questa contraddizione. E l’emarginazione, o la punizione, decisa da Roma, di Tissa Balasuriya o di Jacques Dupuis – teologi che avevano tentato nuove strade per impostare il rapporto Chiesa cattolica/Religioni non cristiane – ha dimostrato la difficoltà della Curia vaticana di saldare posizioni antinomiche.

n Dialogo ecumenico

Giovanni Paolo II ha affermato più volte che la vocazione ecumenica della Chiesa cattolica romana è "irrevocabile e irrinunciabile". Moltissimi sono stati i suoi incontri con leaders delle Chiese non cristiane. A livello teologico, in campo ecumenico si sono registrati progressi ma anche retromarce. Un progresso importante – ad esempio – è stata la dichiarazione comune cattolica-luterana (1999) sulla giustificazione, problema che nel secolo XVI divise irrimediabilmente le Chiese in Occidente. Ma nessuna conseguenza ecclesiologica Wojtyla ha tratto da questo Accordo, e con durezza ha rifiutato la "ospitalità eucaristica" tra cattolici ed evangelici.

Il Giubileo del Duemila è stato gestito come se la fine del secondo millennio fosse questione esclusivamente di interesse del centro romano della Chiesa cattolica. Al di là degli abbracci non si è registrato alcun progresso con gli ortodossi, in particolare a causa del problema degli "uniati" (cattolici di rito orientale) – "ponte" di dialogo con gli ortodossi, per Roma; tentativo di distruggere l’Ortodossia, per gli ortodossi.

Dopo il 1989 non ha fatto che crescere la polemica tra Roma e Mosca anche a causa di talune imprese "missionarie" cattoliche di tipo proselitistico. Dolorosamente sorprendente, a tale proposito, la decisione vaticana di elevare a diocesi le amministrazioni apostoliche della Russia, quando a Roma si sapeva che ciò avrebbe ferito la sensibilità del patriarca di Mosca Aleksij II e del Santo Sinodo. Il mancato viaggio del papa in Russia – molto desiderato dal papa slavo – è la prova evidente del fallimento su questo versante.

Nessun passo ha mai fatto Wojtyla per "perdere" la sovranità dello Stato della Città del Vaticano. Una "regalità" che obiettivamente impedisce alla Chiesa di Roma di dialogare alla pari con le altre Chiese. E che le permette di avere uno "status" giuridico – e dunque un peso politico – negato al Consiglio ecumenico delle Chiese, alle altre Chiese e alle altre religioni nel consesso delle Nazioni Unite.

 

n Unità senza diversità

Sullo sfondo di tali difficoltà vi è il problema, storico e teologico, del papato romano, che lo stesso Wojtyla ha ammesso essere di fatto il più pesante ostacolo alla riunificazione delle Chiese cristiane. Perciò nell’enciclica Ut unum sint (1995) il pontefice si è detto disposto a cambiare le "forme" storiche del papato, lasciando immutata la sostanza del servizio petrino.

In realtà da allora, come del resto era stato negli anni precedenti, le "forme" del papato sono rimaste immutate. Anzi, unanime è la sensazione che Wojtyla, e con lui la Curia, abbiano progressivamente assunto un potere esorbitante rispetto all’episcopato mondiale, ed abbiano attuato una centralizzazione ostinata e onnivora.

Un modo per facilitare un equilibrio tra "Chiesa universale" e "Chiese locali" sarebbe stato quello di dare attuazione concreta al principio della collegialità episcopale riaffermato dal Vaticano II. Ma anche in questo campo i segnali sono stati opposti a quelli del Concilio: i Sinodi dei vescovi, che avevano la funzione di coinvolgere i vescovi nella gestione della Chiesa, sono stati un mero esercizio comunicativo, senza alcun valore "deliberante", e lasciando di fatto il potere di decisione tutto in mano al papa, e cioè alla Curia. Infatti l’agenda dei problemi, la selezione dei partecipanti, il metodo di lavoro delle commissioni, la segretezza degli incontri e le stesse conclusioni di ogni Assemblea sinodale esprimevano chiaramente un disegno autoritario, anche se mascherato da formule pseudodemocratiche.

Un comprensibile desiderio di dare una unità dottrinale alla Chiesa ha portato Giovanni Paolo II a scrivere encicliche, lettere apostoliche e documenti vari relativi a problemi biomedici o sociali; a emanare un voluminoso Catechismo per la Chiesa cattolica e il Codice di Diritto Canonico aventi un valore obbligante e indiscutibile per tutta la Chiesa, anche in assenza di un esplicito consenso dell’Episcopato. Molti di questi documenti sono stati oggetto di numerose e, spesso, clamorose critiche all’interno della Chiesa, in quanto troppo distanti dallo spirito del Vaticano II. L’assenso "assoluto" richiesto dalla Curia ha trasformato i vescovi in semplici trasmettitori degli insegnamenti del papa, di fatto unico Maestro. Al fine di assicurare una totale sincronizzazione interna, nel 1988, il papa ha imposto ai vescovi un giuramento di fedeltà che, mentre sottolineava il necessario vincolo di comunione di ogni vescovo con quello di Roma, di fatto unilaterale, oscurava però l’autorità dei vescovi locali.

Più volte il papa ha sostenuto che "la Chiesa non è una democrazia". Gli episcopati dell’Austria, Germania, Olanda e Stati Uniti e di altri paesi, ogni volta che hanno intrapreso Sinodi e Assemblee ecclesiali su temi contesi (il celibato ecclesiastico, la donna-prete, i contraccettivi, l’omosessualità, il rapporto ministeri ecclesiali/comunità) sono stati pubblicamente redarguiti o invitati ad abbandonare problematiche considerate di esclusiva pertinenza pontificia.

La nomina dei vescovi è stata influenzata principalmente dal criterio dell’adesione dei candidati ai "desiderata" pontifici sui temi appena indicati. Per la prima volta nella storia della Chiesa romana si è verificato che la gran maggioranza dei suoi attuali 4000 vescovi siano stati scelti da un solo papa, quasi "clonati" a sua immagine e somiglianza.

Inoltre la Curia romana è intervenuta per controllare gli ordini religiosi non allineati (come il "commissariamento della Compagnia di Gesù" nel 1981).

 

n Esclusione delle nuove teologie

Sulla scia del dibattito a tutto campo favorito dal Vaticano II, nei diversi continenti sono germogliate, a partire dagli anni Settanta, esperienze pastorali e correnti teologiche estremamente innovative, come quella femminista, asiatica, africana, indigena, negra, ed ecologista. Nessuna di esse ha trovato accoglienza nei documenti o nei discorsi del papa. I cultori di tali dottrine non hanno mai trovato un posto nelle commissioni teologiche pontificie. Alcuni di loro sono stati pubblicamente condannati e costretti a ritrattazioni.

Per fronteggiare la libertà di ricerca invocata dai teologi e osteggiata dal papa, quest’ultimo ha provveduto a esigere da tutti i professori di teologia il seguente giuramento: "Aderisco con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il romano pontefice o il collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo" (1988). E perciò ha proibito, ad esempio, ogni discussione che mettesse in dubbio il no papale all’ordinazione sacerdotale delle donne (1994).

Esperienze innovative hanno trovato raramente accoglienza nella Curia papale. Alcuni esempi: bocciati, tra l’altro, i tentativi di revisione delle traduzioni della Bibbia secondo il linguaggio inclusivo (USA); l’autonomia delle università cattoliche (USA); l’uso frequente della confessione comunitaria (Australia); la gestione dei consultori per l’aborto (Germania).

Più nota e sistematica è stata la tenace opposizione ingaggiata dal papato nei confronti della Teologia della Liberazione (TL). Nata nel continente latino-americano, si era contraddistinta non tanto per i suoi contenuti biblici (in particolare l’Esodo), quanto per l’approccio sociologico-ermeneutico, dato che si considerava l’identificazione con i poveri come la conditio sine qua non per interpretare la Buona Notizia di Gesù e svolgere la missione evangelizzatrice. Il primato era posto nell’ortoprassi, non più nell’ortodossia. La TL ha subito una pubblica condanna tramite una Istruzione emessa dal Cardinal Ratzinger, praticamente copiata dalla rivista colombiana Tierra Nueva, fondata dal card. Trujillo. Accusati di ascendenze marxisto-comuniste, tutti i maggiori teologi della liberazione sono stati puniti in vario modo o emarginati. Vescovi, seminari, congregazioni religiose, movimenti ecclesiali con simpatie "liberazioniste" sono stati accuratamente indagati e/o rimossi. Salvo rare eccezioni, i vescovi latino-americani nominati da Wojtyla erano avversari della Teologia della liberazione.

Il Consiglio episcopale latino-americano (Celam) – che a Medellin, Colombia (1968), nella Conferenza generale aveva assunto posizioni profetiche nella denuncia delle "strutture di peccato" che opprimevano il continente, e ammesso responsabilità della Chiesa per tale situazione – via via è stato "normalizzato" dal Vaticano, prima nella Conferenza di Puebla, Messico (1979), e soprattutto in quella di Santo Domingo (1992). Una "normalizzazione" che obiettivamente andava incontro ai desiderata del governo statunitense, timoroso degli sviluppi di una teologia contraria agli interessi di una potenza imperiale.

 

n Laicità

Wojtyla ha continuamente proclamato che la Chiesa nutre il massimo rispetto per le istituzioni civili e per l’autonomia dei governi e dei rappresentanti delle realtà secolari. Allo stesso tempo, forte del principio secondo cui – a suo parere – il mondo laico non può dire una parola autorevole in fatto di etica, e tanto meno fondare etiche responsabili, ha premuto perché le leggi statali sul divorzio e, in particolare, sull’interruzione della gravidanza, si adeguassero alle leggi ecclesiastiche, definendo "tirannici" quei parlamenti che avessero legalizzato l’aborto. Coerentemente ha insistito che nella Costituzione europea fossero esplicitamente citate le "radici cristiane" del Continente ed ha

spesso agito in modo che i rapporti Stato e Chiesa cattolica, fondati su Concordati o patti similari, garantissero non solo diritti legittimi ma anche privilegi in contraddizione con quanto affermato dal Concilio (Gaudium et Spes,76).

I laici cattolici, che nel Concilio Vaticano II avevano riacquistato la dignità di "popolo sacerdotale, profetico e regale", sono stati degradati a "sudditi" nel Codice di Diritto Canonico emanato da Wojtyla (1983). Essi sono indegni di leggere il Vangelo e commentarlo nelle celebrazioni eucaristiche. Buoni, come diceva Yves Congar, per le tre P: "pregare, pagare, piegare", inginocchiandosi davanti all’autorità gerarchica.

Coerentemente il papa ha finito per privilegiare quei settori del laicato cattolico che hanno mostrato una assoluta sudditanza verso la sua Cattedra, mentre non ha mancato di far sentire la propria contrarietà verso quelli (Azione Cattolica, Comunità di base, associazioni biblico-teologico-missionarie) che in vario modo hanno rivendicato una propria autonomia. Lo stesso "Appello dal popolo di Dio" promosso da IMWAC (International Movement We Are Church), sottoscritto da due milioni e mezzo di cattolici che chiedevano una riforma della Chiesa, è stato disapprovato.

E, sempre a proposito del proclamato rispetto per la dignità e indipendenza di ogni Stato, molti osservatori hanno denunciato il fatto che la Santa Sede, adducendo il principio della exstraterritorialità", ha impedito alle competenti autorità italiane di accertare le responsabilità di mons. Paul Marcinkus, allora presidente dello Ior (la banca vaticana), nel clamoroso crack del Banco Ambrosiano (anni 80).

 

n La donna

Per la prima volta nella storia, papa Wojtyla ha proceduto ad una parziale rilettura critica dei testi neo testamentari relativi alle donne, elogiando il "genio femminile" e dedicando ad esse una lettera apostolica sulla "dignità della donna" (Mulieris dignitatem, 1988). Il documento è stato osteggiato dalla maggioranza delle teologhe cattoliche e dei movimenti femministi, che hanno denunciato le gravi carenze teologiche, bibliche e antropologiche del testo e le sue contraddizioni. Del resto, come hanno rilevato le teologhe cattoliche, e come tutti hanno potuto constatare, l’intero organigramma ecclesiastico è rimasto, sotto Wojtyla, più che mai androcentrico. Tutti i posti chiave della Curia romana sono rimasti saldamente in mano ai maschi. Negli anni 80 una originale e pluriennale esperienza di ascolto reciproco tra le cattoliche statunitensi e i rispettivi vescovi aveva cominciato a produrre una bozza di documento assai interessante ed aperto, ma la Curia papale interveniva per esigere che non si parlasse di "uguaglianza nella condivisione e responsabilità", ma di "complementarietà", che si esplicitasse la condanna della contraccezione e che si escludesse dalla discussione ogni riferimento al tema dell’ordinazione sacerdotale della donna. A causa di tale interferenza sia le donne che i vescovi nordamericani compresero che era inutile continuare il dialogo.

Del disagio delle donne si è fatta interprete, a nome di un milione circa di suore, l’Unione Internazionale Superiore generali (Uisg), che fece pervenire al Sinodo dei vescovi sulla vita religiosa un ferma sollecitazione "per porre fine alla dicotomia spesso marcata tra le dichiarazioni della Chiesa ufficiale circa la dignità della donna e la pratica attuale di discriminazione, nonché per includere più completamente le donne competenti nei processi di riflessione e nei ministeri ecclesiali, ivi comprese le posizioni chiave nei dicasteri della Curia" (1994). Questa saggia e rispettosa petizione non ha trovato alcun ascolto in Vaticano.

 

n La sessualità

Wojtyla ha ribadito con forza le normative papali esistenti in materia, dal "si" alla vita e alla "legge naturale"; al "no" alla contraccezione e al divieto alle nuove nozze in chiesa dei divorziati cattolici risposati/e, al "no" all’esercizio della sessualità nelle coppie di omosessuali, al "no" all’uso del preservativo in qualsiasi situazione, anche per prevenire il contagio dell’AIDS. Masturbazione e rapporti prematrimoniali sono stati considerati dal Catechismo del 1983 "peccati mortali".

Su tutti questi punti Sinodi nazionali, vescovi, teologi e teologhe hanno espresso riserve di ogni ordine, anche perché la prassi pastorale dimostrava ogni giorno di più che le decisioni relative all’etica sessuale, anche di papi precedenti, erano contrarie al sensus fidelium. La conseguenza – rilevata dagli osservatori religiosi – è che tra il papa e la maggioranza dell’episcopato, del clero e dei fedeli si è prodotto il più profondo e silenzioso scisma della storia della Chiesa, con grave danno per lo stesso Magistero papale.

Analogo discorso vale per il rapporto clero-sessualità. Wojtyla ha respinto ogni ragionevole proposta di ridiscutere la fondatezza teologica e la validità pratica della legge del celibato obbligatorio per i preti della Chiesa latina, nonostante fosse noto che questi ultimi, in una percentuale alta – soprattutto in certe regioni – non osservavano il voto di castità. A fronte dell’esodo massiccio di sacerdoti negli ultimi 30 anni (80.000 circa hanno abbandonato il ministero), al crescente invecchiamento del clero e alla carenza di ministri consacrati nei paesi del terzo mondo, numerosi episcopati hanno ripetutamente chiesto al papa di consentire l’esercizio del ministero a ex preti, a uomini sposati, e persino a donne, specialmente religiose. Nessuna delle richieste è stata esaudita.

Tre scandali relativi alla vita sessuale del clero hanno scosso il pontificato di Wojtyla, andando sulle pagine e TV di tutto il mondo. Il primo è venuto alla luce a seguito di documentate rivelazioni da parte di religiose, stanche di subire violenze sessuali, non esenti da ricatti, da parte di sacerdoti, soprattutto in Africa. Su questo problema nessun intervento significativo è stato fatto da Wojtyla.

Il secondo è scoppiato negli USA, attizzato dalle richieste di indennizzi miliardari da parte di migliaia di fedeli che erano stati violentati nella loro adolescenza da sacerdoti pedofili. Di fronte al clamore mediatico il papa si è visto obbligato a richiamare a Roma vescovi e cardinali nordamericani, alcuni dei quali sono finiti sotto inchiesta da parte della magistratura per aver deliberatamente coperto, nel corso di decenni, gli abusi sessuali compiuti da centinaia di ecclesiastici.

Il terzo scandalo ha fatto seguito al precedente: da anni si sapeva che molti appartenenti al clero erano persone omosessuali. Questo problema, reale ma nascosto, è venuto alla luce del sole sotto il pontificato di Wojtyla. In tale contesto, nel 2002 la Congregazione per il culto divino ha emanato una normativa – giudicata "discriminatoria" dai gruppi di omosessuali cristiani – in cui si definisce "sconsigliabile", "imprudente" e "rischiosa" l’ordinazione sacerdotale di omosessuali.

 

n Diritti umani

La figura di Giovanni Paolo II è indubbiamente associata alla difesa dei diritti della persona umana nelle varie dimensioni sociali, economiche e politiche. Sono assai numerose le occasioni in cui egli ha preso posizione nei confronti dei poveri, degli emigranti, dei soggetti sfruttati e mal pagati, soprattutto se bambini e donne, comunque sottoposti a leggi o a governanti che violavano la dignità umana.

Questi generosi appelli all’ottemperanza dei diritti fondamentali nella società non hanno trovato però corrispondenza all’interno della Chiesa romana, in cui vigono due opposti principi: uno valido ad extra, per cui la società secolare deve concedere alla Chiesa il diritto alla libertà religiosa; ed uno valido solo ad intra, per cui nella Chiesa "non si può fare appello a questi diritti dell’uomo per opporsi agli interventi del magistero" (Istruzione sulla vocazione del teologo, 1990).

Questa contraddizione è rivelatrice della situazione della Santa Sede, che si è venuta a trovare nell’imbarazzante primato negativo riservato ai paesi segnati da dittature, avendo sottoscritto solo 10 dei 103 accordi internazionali sui diritti umani (Human Rights Law Journal). In particolare il papato romano non ha ancora ratificato nessuna delle Convenzioni sulla soppressione delle discriminazioni basate sul sesso, la libertà d’insegnamento, il giusto processo. Contrario ai diritti umani è il meccanismo giudiziario, specialmente dell’ex Sant’Offizio, che non prevede né una netta distinzione tra giudice e accusatore, né una chiara e pubblica "lista delle accuse", né una reale possibilità di appello.

La Santa Sede non ha mai acconsentito a eliminare dal proprio ordinamento canonico quella discriminazione, denunciata dal Concilio, che impedisce alle donne cattoliche di accedere a qualsiasi responsabilità direttiva nella Curia. Il Vaticano è peraltro restio a riconoscere i normali diritti "sindacali" ai propri lavoratori (sacerdoti o religiose), in caso di licenziamento o rimozione.

 

n I "mea culpa"

Soprattutto nei suoi viaggi internazionali, Giovanni Paolo II ha espresso decine di "mea culpa" per comportamenti passati dei "figli della Chiesa": le Crociate, l’antisemitismo, l’Inquisizione, le guerre di religione, l’invasione dell’America nel nome della "vera religione", lo schiavismo, l’oppressione di interi popoli.

Il 12 marzo 2000 Wojtyla, con cardinali ed alti dirigenti delle Curia romana, ha celebrato la "giornata del perdono", con l’ammissione di sette "confessioni di colpe" commesse dai "figli della Chiesa" nel servizio della verità; nei rapporti con gli Ebrei; nei comportamenti contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni; in atti che hanno ferito la dignità della donna e l’unità del genere umano; con peccati nel campo dei diritti fondamentali della persona.

Questo gesto non ha portato però l’intera Chiesa romana ad interrogarsi sulle ragioni di fondo di quei peccati che si sono protratti per secoli, senza che teologi, vescovi e papi li avessero riconosciuti come contrari sia ai diritti fondamentali della persona umana che al Vangelo.

Seppur contraddittorio il "mea culpa" di Wojtyla ha comunque sollecitato anche episcopati nazionali ad intraprendere la stessa strada.

 

n Santi e Beati

Desideroso di dare visibilità alla santità della Chiesa cattolica, macchiata da scandali, contraddizioni e divisioni, Wojtyla ha provveduto a proclamare più santi e beati (circa 1800) di quelli fatti dai papi degli ultimi quattro secoli.

Tale politica "inflazionistica" ha lasciato perplessi molti, cattolici e non, data la procedura segreta, costosa e teologicamente ambigua del riconoscimento stesso della santità, quasi sempre legata ad uno stato non matrimoniale. In altri casi l’ambiguità è stata del tutto evidente, come quando il 3 settembre 2000 Giovanni Paolo II ha voluto beatificare insieme due papi, Pio IX e Giovanni XXIII: l’uno che definì "delirio" il principio della libertà religiosa e l’altro che volle un Concilio perché proclamasse come intangibile il suddetto principio. Pio IX aveva poi oggettivamente sostenuto quelle violenze contro gli ebrei di cui pure Wojtyla aveva chiesto perdono solamente sei mesi prima.

Molti cattolici hanno criticato il papa per aver beatificato e canonizzato a tempo di record José Maria Escrivá de Balaguer (morto nel 1975), sostenitore del regime franchista e fondatore dell’Opus Dei, istituzione ricca, potente e per molti aspetti segreta; mentre nel contempo ha lasciato nel cassetto la causa di beatificazione di mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, accanito difensore dei poveri e martire della giustizia, assassinato da una dittatura militare (1980).

Anche l’eccessiva enfasi posta da Wojtyla sul culto mariano, ha spesso incoraggiato – al di là delle intenzioni – gli aspetti meno evangelici della religiosità popolare e creato difficoltà nel cammino ecumenico.

 

n I viaggi

Papa Wojtyla ha compiuto 102 viaggi internazionali, toccando i cinque continenti. Questi viaggi hanno messo in evidenza, in modo paradigmatico, la sua audacia nel proporre il messaggio evangelico anche in paesi non cattolici e nell’affrontare grandi fatiche, soprattutto con il progredire dell’età e di vari malanni fisici. Ha certamente avuto modo di verificare e denunciare spesso l’entità della miseria e dell’ingiustizia di fronte a masse di poveri costretti a vivere in immense baraccopoli e senza servizi essenziali.

E tuttavia tali viaggi sono stati oggetto di malumori e critiche all’interno della Chiesa cattolica per molte ragioni: mentre il papa enfatizzava il suo ruolo di pellegrino in visita ad una comunità, di fatto era ricevuto come capo di stato, con i dovuti onori militari. Il costo delle manifestazioni di massa ricadeva sulla Chiesa locale, o su ambigue collaborazioni con multinazionali. Il tempo e le occasioni per conoscere la realtà della Chiesa locale e per interloquire con i fedeli era ridotto praticamente a zero. Capi di stato hanno fatto a gara per averlo al loro fianco e apparire come devoti fedeli davanti ai propri concittadini, non sempre entusiasti per tale complicità. Scandalosa, in particolare, è apparsa l’intesa sorridente tra il papa e il generale golpista e assassino Augusto Pinochet dal balcone del palazzo presidenziale di Santiago del Cile (1987).

 

n I media

Wojtyla ha compreso l’importanza dei media per imporsi all’attenzione del mondo e diventare una specie di "star" internazionale. E’ innegabile che attraverso l’uso dei media, in particolare della TV, di facile comprensione per i settori meno istruiti, Giovanni Paolo II ha avuto la possibilità di sottolineare con forza valori universali, diffondere la Buona Novella e introdurre tante persone alla solennità di celebrazioni liturgiche, anche di massa.

Tuttavia, nel privilegiare l’uso quasi quotidiano della TV per ogni tipo di udienza, messe, rosari, pellegrinaggi, viaggi, incontri con capi di governo e diplomatici, non poteva non cadere nelle trappole strutturali dello "star system", che ha un legame indissolubile, anche di tipo mercantile, con l’industria dell’intrattenimento, non con la cultura. In sostanza il papa, affidandosi alla TV, non ha potuto evitare che la sua apparizione scivolasse nello "spettacolo", finalizzato alla seduzione e all’applauso, non alla riflessione o al discernimento. Se lo "show" per sua natura illude e crea una realtà virtuale e affascinante, anche lo spettacolo di moltitudini oranti o plaudenti finiva per diventare ingannevole, dando la sensazione illusoria che la Chiesa cattolica resisteva e superava la crisi imposta dalla secolarizzazione dominante.

Di conseguenza non meraviglia che nelle immagini televisive siano scomparsi vescovi, teologi e altro soggetti della comunità ecclesiale. Per 25 anni il papa "ha rubato la scena", con vescovi e cardinali nel ruolo muto di semplici "comparse". A miliardi di persone, di fatto, il papa ha mandato un messaggio subliminale così sintetizzabile: "io sono la Chiesa e la Chiesa è nulla senza di me".

Se lo star system ha favorito la papolatria, il suo rovescio è stato l’oscuramento del resto della Chiesa cattolica.

 

n Giustizia

Gli ammonimenti papali in difesa di poveri, emarginati, bambini ridotti in schiavitù, donne discriminate, anziani abbandonati potrebbero formare una enciclopedia. Giovanni Paolo II ha parlato contro una globalizzazione in atto, considerata "una forma di colonialismo" ed ha chiesto un "sussulto di moralità di fronte ai drammatici problemi economici, sanitari, sociali". Ha definito "strutture di peccato" il libero mercato e la globalizzazione selvaggia. Ha invitato tutti a non rassegnarsi "a un mondo in cui altri esseri muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro". A Santo Domingo ha invitato l’assemblea dei vescovi latino-americani a "rinnovare la scelta preferenziale dei poveri" e ad "evitare qualsiasi connivenza con i responsabili delle cause della povertà" (1992).

Mentre il papa parlava in tal modo, le statistiche indicavano impietosamente che i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; che le 15 più grandi imprese avevano un reddito lordo che superava il PIL di 120 paesi; che il 75% della popolazione mondiale utilizzava solo il 15% dei farmaci (l’Africa appena l’1%); che ogni vacca europea godeva di un sussidio statale di 2 euro al giorno, pari alla somma con cui quotidianamente viveva ogni persona della massa dei due miliardi di poveri della popolazione mondiale.

Se negli ultimi due decenni l’ingiustizia planetaria ha assunto un tono quasi tragico; se 86 paesi, nel 1996, stavano peggio di 10 anni prima, ciò ovviamente non poteva essere attribuito al papato romano, predicatore della giustizia. Resta il fatto che milioni di baraccati, di assetati, di affamati, di malati, di disoccupati non hanno trovato nel papa romano un referente da cui partissero – come era accaduto per questioni come l’aborto o il controllo demografico (Conferenze del Cairo e di Pechino) – concrete campagne religiose, seri interventi diplomatici, severe ammonizioni ai politici, tenaci pressioni sui vescovi, per analizzare le cause e ad impostare terapie atte a contenere l’ingiustizia devastante.

Poveri e animatori di organizzazioni sociali si sono chiesti come mai i telegiornali riferissero delle udienze private che il papa riservava a capi di stato, campioni dello sport, ricchi epuloni; mostrando ben raramente il pontefice seduto attorno ad un tavolo con dirigenti delle organizzazioni contadine, con le vittime della repressione politica e con le persone impegnate nel cambiare il disordine sociale, economico ed ecologico. Né il papa ha mai espressamente incoraggiato quei forum mondiali o continentali nei quali centinaia di migliaia di persone di buona volontà si incontravano pacificamente, convinti che "un altro mondo è possibile".

 

n Pace e ordine internazionale

Wojtyla ha predicato instancabilmente la pace ed ha sempre difeso il ruolo insostituibile dell’ONU e la sua funzione "mediatrice" per risolvere conflitti tra nazioni con la diplomazia e la trattativa, evitando la guerra. Egli ha certamente favorito la caduta incruenta e pacifica del comunismo nei paesi est-europei attraverso vari viaggi "missionari" nella nativa Polonia e aiutando, moralmente ed economicamente, il sindacato polacco Solidarnosc (anche attraverso finanziamenti concordati con il presidente USA, Ronald Reagan).

Negli anni Novanta la Santa Sede ha favorito la dissoluzione della ex Jugoslavia, approvando con straordinaria rapidità la proclamazione d’indipendenza da parte della Slovenia e della Croazia (1992), ma forse sottovalutando i rischi che i nazionalismi avrebbero innescato nei Balcani dopo lo sgretolamento selvaggio della Jugoslavia.

La voce di Wojtyla si è levata con puntualità e passione in occasione delle numerose guerre che hanno devastato diverse aree del globo, invocando talora – come nel Kosovo – l’intervento militare umanitario per superare i conflitti più intricati.

Inflessibile è stato il "no" di Wojtyla alle iniziative di guerra senza l’avallo ONU, come nel caso della guerra in Iraq (2003), quando contestò la legittimità morale della "guerra preventiva" anglo-americana. Nel marzo-aprile del 2003 – in occasione della guerra di George W. Bush contro l’Iraq – le parole di denuncia del papa hanno dato speranza a molti e molte impegnati per la pace.

Molto problematica risulta la valutazione dell’operato papale relativo al nuova assetto conseguente alla caduta dell’impero sovietico, da lui patrocinata, senza che esistessero le premesse per un nuovo ordine internazionale libero da potenze dominanti. La politica papale, di fatto, e malgrado esplicite affermazioni verbali contrarie, ha lasciato campo libero all’egemonia statunitense in ogni settore, apparendo dunque in collusione con i poteri forti legati alla Casa Bianca, e perciò con l’impero. Di fronte all’avanzata inarrestabile del capitalismo Wojtyla si è limitato a condannare gli "eccessi" di questo sistema, ma non la loro "radice", senza impegnare adeguatamente la comunità cattolica nella riduzione delle abissali diseguaglianze sociali, soprattutto tra Nord/Sud, nel contenimento della violenza e nella salvaguardia del creato.

In questa obiettiva "convergenza" vi sono state delle differenze importanti: il papa ha censurato espressamente le leggi relative alla contraccezione e all’aborto, varate dal governo americano del "progressista" Bill Clinton, ma ha evitato di condannare con la stessa chiarezza quello "conservatore" di George W. Bush, nonostante questi abbia dichiarato di voler "agire senza l’accordo di organismi internazionali", e di considerare come propria missione quella di "liberare il mondo dal male" e "la guerra non come un pericolo ma come una opportunità per portare ovunque la libertà, il diritto e la giustizia".

Anche se qualche volta Wojtyla ha levato la voce contro la "corsa agli armamenti", questa protesta in realtà è stata flebile e non è mai giunta ad una opposizione esplicita al complesso finanziario-industrial-militare, la cui enorme potenza impedisce di giungere ad un nuovo ordine mondiale senza eserciti "nazionali" e, conseguentemente, di dirottare le risorse finanziarie verso i bisogni primari di miliardi di indigenti.

 

Un papato più "di parte" che "equilibrato"

Pur consapevoli delle difficoltà di un giudizio globale in tempi così ravvicinati, la somma dei fatti e degli scritti di Giovanni Paolo II ci inducono, comunque, a riputare che il suo pontificato sia stato più "romano" che "cattolico".

A noi sembra infatti che, al di là delle virtù personali e della retta intenzione, la tendenza complessiva del magistero e dell’azione di papa Wojtyla sia stata quella di privilegiare "la parte" piuttosto che "l’insieme".

 

La filosofia e la teologia di Giovanni Paolo II si sono saldamente basate sulla sua tradizione polacca (una "parte" degna di tutto rispetto), ma non hanno potuto integrare "l’insieme" delle correnti innovative: di qui il conflitto con il pensiero laico, le religioni non cristiane, le Chiese non cattoliche e le teologie non tradizionaliste.

 

Sul piano etico il papa ha posto l’accento sull’importanza della legge naturale, sottovalutando, però, il fatto che ogni giudizio etico non può prescindere né dalla storicizzazione di tale "legge", che per molti aspetti è legata alle cangianti culture dei popoli, né dal giudizio ultimo della coscienza personale.

 

In politica Wojtyla è stato fiero avversario del comunismo e, in parte, del capitalismo. Ma questo sforzo di "equilibrio" non ha retto alla prova dei fatti perché, caduto l’impero sovietico, "l’insieme" mondiale si è sbilanciato completamente verso "la parte" capitalista – altrettanto inumana ed atea – a tal punto che la Casa Bianca oggi decide di iniziare una guerra "infinita" senza chiedere il permesso a nessuno.

 

Nella gestione ecclesiale risulta ancor più macroscopico è lo squilibrio tra "la parte" a detrimento dell’"insieme": qui è risultata insignificante l’integrazione tra il centralismo papale e la collegialità episcopale; tra Gerarchia e popolo di Dio; tra la ricerca teologica e la predicazione ordinaria.

 

Anche leader religiosi non cattolici e molte persone nel mondo riconoscono in Giovanni Paolo II il rappresentante di una religione ammirevole per molti aspetti, ma che si è presentata nei fatti

più esclusiva che inclusiva,

più monarchica che democratica,

più occidentale che universale,

più romana che cattolica.

Noi Siamo Chiesa- Italia

(aderente all’International Movement We Are Church-IMWAC)

"Noi Siamo Chiesa" Internet : www.we-are-church.org/it


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