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I.R.C. parliamone: non nuoce alla salute

 
 


Progetto di riflessione e di ricerca sull’Insegnamento della Religione Cattolica nella Scuola Pubblica
della Classe 5F del Liceo Scientifico Statale M. Malpighi di Roma 1996/97
Chiunque può intervenire con osservazioni e contributi che saranno inglobati nelle edizioni successive
Indice generale | Composizione Classe 5F | Comitato promotore | Raccomandazione generale

(versione 2.0 : 1.1.1998)


DOCUMENTO CONCLUSIVO n. 2 : AREA FILOSOFIA

documento approvato il 30.5.1997. Presenti e votanti 16; a favore 10, contro 4, bianche 2. Alcune parti e le raccomandazioni finali sono state approvate con votazione separata, come a suo luogo indicato.


Sommario del documento conclusivo n. 2:

RIFLESSIONI

RACCOMANDAZIONI

2.1. RIFLESSIONI

2.1. 0. Delimitazione

2.1.0.0. I temi sui quali abbiamo riflettuto in questo ambito possono essere ricondotti a due binari principali: a) che cosa è religione, e che rapporto c'è fra chi professa una religione, e chi non professa alcuna religione b) cosa è uno stato laico, e quale è la posizione di una religione in uno stato laico.

2.1.0.1. Altri temi di grande importanza teorica, come ad esempio il rapporto fra religione e politica, avremmo voluto discuterli, ma ci è mancato il tempo. Ma anche sugli argomenti trattati sappiamo bene che le nostre sono riflessioni assolutamente generali, e che ci vorrebbero ben altri tempi e strumenti per trattarli in modo accettabile. Pur tuttavia non c'è dubbio che tutti hanno, a proposito di tali argomenti, delle loro idee in base alle quali regolano la propria vita: e di sicuro, per limitarci a questa nostra scuola, non sono molti quelli che hanno fatto riflessioni più prolungate e meno approssimative delle nostre!

2.1.0.2. In queste considerazioni, per lo più non abbiamo pensato esplicitamente alla religione cristiana (meno ancora a quella cattolica), ma abbiamo parlato di "religione" in generale, e di "credenti" nel senso di "fedeli di una qualche religione". Quando si intende parlare esplicitamente del cristianesimo o, in modo ancora più circoscritto, delle dottrine della chiesa cattolica, lo si dice sempre esplicitamente.

2.1.0.3. Abbiamo così, fra l'altro, consapevolmente, lasciato fuori la posizione teorica di coloro che sostengono che il cristianesimo non è una religione (tesi di Bonhoeffer: tesi che oggi, con l'attuale "ritorno del sacro", pare rientrata, e suona piuttosto lontana dal sentire comune di coloro che si considerano cattolici).

2.1.0.4. Così come non abbiamo preso in seria considerazione l'affermazione (che pure sappiamo diffusa), secondo cui la religione cristiana è sì una religione, ma una religione assolutamente diversa da tutte le altre: infatti quella di dichiararsi superiore alle altre religioni ci pare una affermazione comune a quasi tutte le religioni; e poi, speciale o non speciale, ci sembra che le considerazioni svolte a proposito della religione in generale possano adattarsi bene, in ogni caso, anche alla religione cristiana. Riservata alla religione cristiana in particolare, avevamo in progetto una intera area di lavoro (area "Teologia"), della quale per mancanza di tempo abbiamo unicamente alcuni lavori preparatori.
 
 

2.1.1. RELIGIONE

2.1.1.1. Riflessione 1: cosa sia "religione" non è ovvio.

2.1.1.1.1. Se per religione intendiamo la tradizione religiosa monoteistica (ebraismo, cristianesimo, islamismo), è abbastanza facile indicare cosa sia religione. Ma se consideriamo anche altre aree culturali estranee alla nostra (ad esempio il mondo orientale), può essere più difficile trovare un concetto di religione che includa anche fenomeni come certe forme di buddhismo (quello più antico, che si presenta più come una antropologia, una psicologia ed un'etica che come una religione), ed il confucianesimo (dottrina globale dei rapporti umani difficilmente inquadrabile nel nostro concetto di religione); inoltre presso molte popolazioni "primitive" è difficile a volte individuare una precisa valenza religiosa all'interno di un complesso immaginario mitico che riguarda le tradizioni sociali e culturali del gruppo.

2.1.1.1.2. Dovremmo quindi stare attenti a non dare per scontato che tutti i popoli abbiano una "religione" nel nostro senso, come non possiamo ad esempio dare per scontato che in tutti i gruppi umani ogni individuo abbia, nel nostro senso, il nome e magari anche il cognome! Sappiamo benissimo che non è così.

2.1.1.1.3.Pur con queste cautele, abbiamo portato avanti la nostra riflessione.

2.1.1.2. Riflessione 2: cosa cerca l'uomo nella religione? a cosa serve la religione?

2.1.1.2.0. La risposta a questa domanda è impegnativa, perché finisce per indicare quale è la natura profonda (ed anche la validità complessiva) della religione. Nessuno può pensare di risolvere alla leggera questo quesito, ma certamente si può fare un elenco delle risposte che sono state offerte nella storia, e su questo elenco fare alcune riflessioni.

2.1.1.2.1. E si possono per comodità dividere le risposte in due gruppi:

a) le risposte che attribuiscono superiore importanza e valore superiore alla religione, e ad essa riconoscono gli scopi che essa professa esplicitamente. Sono risposte per lo più tradizionali, ed in quanto tali non riconducibili a singoli pensatori (anche se certamente, poi, teorizzate in varie correnti di pensiero religioso e antropologico fino ad oggi). Le abbiamo elencate ritenendo che siano le più diffuse (nota)

b) le risposte che riducono la religione a qualcosa di altro, di diverso da ciò che la religione dice di essere, e che finiscono per attribuire minore importanza e minore valore alla religione

2.1.1.2.2. Primo gruppo di risposte:

a) la religione è relazionarsi (in sostanziale atteggiamento di riverenza o di sottomissione) con una Realtà Invisibile e Superiore, che chiede e dà, ed alla quale si chiede e si dà (nelle forme più svariate a seconda delle varie religioni)

b) la religione è la risposta dell'uomo all'appello che una Realtà Superiore ha posto come germe nel profondo del suo essere

c) la religione è un affidarsi ad una visione del mondo e della vita che assicuri quel senso d'insieme all'esistenza (la nascita, la sofferenza, la morte, ecc.) che non pare trovarsi in una lettura normale e ordinaria dell'esperienza

d) la religione è la fonte delle risposte a tutto ciò che è mistero ed ignoto per la ordinaria conoscenza dell'uomo

e) la religione è il luogo della piena realizzazione delle aspirazioni dell'uomo, che altrimenti rimarrebbero inappagate

f) la religione è il quadro nel quale un individuo inserisce e riferisce le scelte fondamenti della propria vita: ciò che ritiene bene e ciò che ritiene male

g) la religione è un luogo di condivisione di valori tradizionali, vissuti insieme agli altri membri del proprio gruppo: valori che sono stati ricevuti dagli antenati e che vengono tramandati ai discendenti

h) la religione è un esercizio di preparazione per un'altra vita che costituisce la vera dimensione dell'uomo

i) la religione è l'opportunità per ottenere ciò che le normali attività umane non sono in grado di assicurare
 
 

2.1.1.2.3. Secondo gruppo di risposte

a) La religione è uno stratagemma con il quale la società si assicura il rispetto delle norme della civile convivenza, facendo appello a dei controllori invisibili e onnipotenti (tesi di alcuni Sofisti)

b) La religione è, nella sua sostanza, pura moralità, però intesa e sentita come comandamento divino (Kant)

c) La religione è una forma di poesia, di sentimento della dipendenza dell'uomo dal Tutto (Schleiermacher)

d) La religione è una risposta agli interrogativi filosofici dell'uomo, sia pure sotto forma immaginativa anziché concettuale (Hegel)

e) La religione è esaltazione e promozione di valori umani, sia pure rappresentati sotto forma alienata e impersonati in un essere esterno all'uomo (Feuerbach)

f) La religione è una forma occulta di sfruttamento e di assoggettamento delle classi inferiori da parte della classi dominanti (Marx)

g) La religione è elaborazione sublimata (cioè trasfigurata) di pulsioni profonde di natura sessuale (Freud)

h) La religione è sfogo e controllo delle forze occulte e irrazionali che emergono affascinanti e tremende dalla psiche umana (riconducibile a Freud)

i) La religione è fuga infantile dai problemi dell'esistenza e rifugio nel sogno di un padre protettore e "tappabuchi" (Bonhoeffer)

2.1.1.2.4.0. Su questi due tipi di risposte si possono fare due considerazioni:

2.1.1.2.4.1. Le critiche alla religione, nella nostra cultura occidentale, sono quasi tutte sorte negli ultimi due secoli. E questo può essere letto in due modi, che fanno capo rispettivamente a quei due gruppi di risposte:
a) potrebbe significare che la civiltà moderna, quella che si è imposta negli ultimi tre-quattro secoli, è caratterizzata e si alimenta di falsi valori di autonomia dell'uomo, ed è quindi ben comprensibile che abbia condotto, come logica ultima conseguenza, all'ateismo ed all'incredulità. Tali fenomeni scompariranno quando si sarà riusciti a voltare definitivamente pagina sulla modernità, e sul suo DNA intrinsecamente ateo e irreligioso. Questa tesi è presente nel mondo cattolico dalla fine del Settecento (De Maistre ed altri), e stiamo assistendo in questi decenni ad una sua forte reviviscenza (fra gli altri, in Italia, Augusto Del Noce), dopo un periodo nel quale sembrava che la chiesa cattolica volesse riconciliarsi con il mondo moderno.

b) all'opposto, si potrebbe sostenere che la religione ha svolto storicamente e inconsciamente nelle società tradizionali un ruolo pedagogico (di coesione sociale, di ordine, di valori) che non è né essenziale né eterno: lentamente, con l'avanzare della modernità, gli uomini sono cresciuti, se ne sono resi conto, e la religione ha progressivamente lasciato posto a forme più adulte e autogestite di conduzione della convivenza umana.

2.1.1.2.4.2. Non sarebbe del tutto esatto sostenere che la visione religiosa del mondo è in grado di offrire spiegazioni ultime, e quella non religiosa no: in realtà, l'umanità ha prodotto molte filosofie e forme di pensiero che si sono presentate come spiegazioni ultime senza per questo essere una religione. Pare, piuttosto, che oggi le varie filosofie preferiscano non proporre spiegazioni ultime e totalizzanti ("la fine delle ideologie", come si dice oggi) non perché in teoria non si possa farlo, ma perché si ritiene più corretto e realistico non presumere o non illudersi di avere risposte ultime quando una delle caratteristiche fondamentali dell'uomo è la sua finitudine, e cioè il non avere accesso a certezze definitive.
 
 

2.1.1.3. Riflessione 3: come si pensano reciprocamente credenti e non credenti (nota)

2.1.1.3.1. E' discorso abbastanza comune, fra i credenti, il sostenere che i non credenti sono come dei ciechi, in quanto non riconoscono una dimensione dell'uomo (quella religiosa) che è essenziale: essi sono condannati a lasciare la propria vita nell'incertezza, nel dubbio e nel non-senso.

2.1.1.3.2. I non credenti, per parte loro, ritengono che fondamentalmente i credenti abbiano adottato degli stratagemmi consolatori e fantastici: per sopportare le difficoltà e le complicazioni dell'esistenza si sono inventati una dimensione mitica nella quale cercano rifugio rinunciando sostanzialmente ad affrontare il vento della vita.

2.1.1.3.3. A questo proposito, forse si possono fare tre osservazioni:

a) Non sarebbe serio da parte dei credenti invocare il rispetto per le proprie convinzioni religiose, e considerare offensive le moderne critiche alla religione (da Kant a Freud): come i non credenti devono sapere quello che, non pare con l'intenzione di offenderli, pensano di loro i credenti (e cioè che sono incapaci di cogliere una delle dimensioni più importanti dell'uomo), così i credenti devono essere consapevoli che la loro fede li espone a legittime critiche e a legittimi sospetti dei non credenti: di essere persone che sognano talmente un amico potente (una divinità, un potere superiore) da esserselo costruiti nella propria fantasia.

b) La matura consapevolezza delle proprie convinzioni, se non è cieca e irrazionale adesione, passa proprio attraverso la coscienza delle possibili critiche. E al giorno d'oggi, non pare che possa dirsi maturo credente chi non si è mai seriamente posto di fronte alle critiche che il mondo moderno ha posto alla religione, così come non pare che possa dirsi maturo non credente chi non si è mai seriamente posto di fronte allo sforzo di comprendere quale sia la dimensione che i credenti sostengono di vivere.

c) Tuttavia forse si può dire qualcosa di più. Il buon senso, la naturale cautela necessaria quando dal più noto ci si avventura nel meno noto, la consapevolezza che dietro le cose troppo alte a volte si celano contenuti meno nobili, il tramonto delle tradizioni e del loro valore indiscusso, consiglierebbero una ulteriore considerazione che oggi non sempre si fa, forse per un male inteso senso di rispetto verso i credenti: e cioè che non pare esservi una completa equivalenza fra le affermazioni che i credenti, desumendole dalla propria fede, immettono sul mercato parlando con i non credenti e le affermazioni che i non credenti propongono sulla base delle proprie esperienze e dei propri ragionamenti; nel senso che un maggiore onere di argomentazioni (non necessariamente "dimostrazioni", ma spiegazioni, chiarimenti, giustificazioni ecc.) spetta forse ai credenti, piuttosto che ai non credenti, perché i credenti fanno appello ad ipotesi in numero maggiore e di maggiore portata che i non credenti (esistenza di esseri superiori invisibili, sopravvivenza oltre la morte, forze occulte, fenomeni inspiegabili, ecc)(nota).
 
 

2.1.1.4. Riflessione 4: Religione e moralità

2.1.1.4.1. Vi è una serie di luoghi comuni, in tema di religione e moralità, che oggi ci paiono francamente superati. Si era soliti affermare, nella società tradizionale, che un uomo senza religione era un uomo di natura sua immorale. Questa affermazione poteva avere forse un vago fondamento storico, in quanto in una società totalmente religiosa di fatto chi era immorale se ne infischiava di ogni norma della convivenza civile, incluse le tradizionali norme religiose. Eppure la storia, anche passata, è piena di grandi personalità che hanno trovato nelle loro idee umane e non nella loro fede religiosa enormi risorse per vivere più che onestamente. Tanto più oggi. Ed oggi, nella nostra Italia nella quale siamo ben coscienti che la qualificazione di partito "cristiano" non è stata affatto, per decenni, garanzia di minore corruzione rispetto a coloro che non avevano riferimenti religiosi, pare proprio fuori dalla realtà chi sostenesse che esiste una necessaria correlazione fra la moralità e la religione.

2.1.1.4.2. Ma vi sono molti altri spunti che si potrebbero sviluppare per dissipare questa correlazione morale-religione che pure rimane nel subconscio della nostra società; ad esempio:

a) la svolta kantiana che ha proposto non già la morale fondata sulla religione, bensì la religione fondata sulla morale

b) la attuale linea di predicazione morale del papato Woytila, che da decenni, ormai, non fa appello ai valori morali del Vangelo, bensì a "principi morali naturali, universali e razionali" dell'uomo: affermando così indirettamente che la morale non è legata alla religione, ma alla ragione e alla natura umana (anche se, ovviamente, nella sua ottica, la chiesa cattolica mira poi a porsi come maestra di tali valori)

c) la riflessione elementare che se un credente si comporta in un certo modo unicamente perché così gli è stato comandato dal suo dio, o unicamente perché ha paura di un castigo o perché desidera un premio, tale azione non può essere considerata morale nemmeno dal punto di vista della morale cattolica: infatti è pacifico, fra i teologi cattolici, che il bene deve essere compiuto per se stesso, e non per altri fini, e che è l'intenzione a qualificare l'azione (detto in altre parole: chi agirebbe diversamente da come agisce, ma non lo fa solo perché c'è un premio o un castigo, non è certo una persona morale). Una azione è morale nella misura che è libera, mentre una azione fatta per timore o per una ricompensa non è azione libera: questo lo dicono anche i cattolici.

2.1.1.4.3. Con quanto precede non si vogliono certo ignorare le enormi risorse letterarie, filosofiche, morali, artistiche, politiche, tecniche, economiche ecc. che le religioni sono state in grado di suscitare e dispiegare nel corso della storia dell'umanità (nota).

2.1.1.4.4. Ma bisogna prendere atto che molte altre risorse, specie nei secoli più recenti, sono state suscitate, nel nostro mondo occidentale, da ideali morali ai quali le chiese cristiane sono rimaste, almeno all'inizio, fredde (se non proprio ostili): la libertà di pensiero, la partecipazione politica, i diritti dei lavoratori contro lo sfruttamento capitalistico, la liberazione delle donne, il rispetto e la responsabilità per l'ambiente, l'antimilitarismo, l'antifascismo e l'antinazismo, la cooperazione non colonialistica con i paesi del terzo mondo, l'opposizione alla pena di morte, la lotta alla mafia, ecc. ecc.

2.1.1.4.5. E per concludere: che oggi si possa dare una educazione a valori morali senza che ciò prenda necessariamente forma religiosa, è convinzione della Repubblica Italiana, la quale infatti ritiene possibile educare (nella scuola pubblica) cittadini onesti e completi senza per questo fornire loro obbligatoriamente una educazione religiosa (nota).

2.1.1.5. Riflessione 5: Religione, pienezza umana, senso della vita (nota)

2.1.1.5.1. Nel corso del medioevo, l'immaginario prevalente era che l'uomo pio e religioso godesse di serena tranquillità, mentre l'empio, sia pure avvolgendosi in illusori piaceri, era fatalmente destinato alla più tragica infelicità. Potremmo dire con una certa verità, sia pure con grossolana semplificazione, che la cultura moderna ha rovesciato questa impostazione, proponendo l'immaginario di una religione triste e negatrice della gioia contrapposta ad una laica e tutta terrena felicità (come autori-simbolo si potrebbero citare Voltaire in chiave morbida, e Nietzsche in chiave esasperata). Vogliamo riflettere un poco sull'imaginario presente in questa incipiente epoca post-moderna che stiamo vivendo oggi.

2.1.1.5.2. Nel nostro tempo, accanto ad una sostanziosa anche se forse solo provvisoria tenuta del modello "moderno", si sta facendo strada un modello alternativo. Questa inversone di tendenza è stata certamente preparata da un secolo di "filosofia della crisi", e coè dalla constatazione che la ragione umana deve rinunciare a visioni totalizzanti e rassicuranti, e vivere (a seconda degli esiti) nel relativo, nello specialistico, nel dialogico, nel provvisorio, nell'incertezza, nel rischio, nella disperazione, nell'assurdo.

2.1.1.5.3. Questo esito della cultura occidentale ha aperto prospettive nuove al modo di intendere e di proporre la religione. Per stare al mondo cattolico, ad esempio, si sono archiviati rapidamente i tentativi di incontro con la cultura e lo spirito del nostro secolo e si è cominciato ad argomentare sulla controffensiva: "Solo noi abbiamo le risposte che l'uomo di oggi cerca; e questa è la prova della verità di quello che affermiamo". Ovvero, in altro modo: "Senza le nostre risposte il mondo sarebbe assurdo. Ma è assurdo che il mondo sia assurdo. Quindi le nostre risposte sono vere." Dal punto di vista logico, le riserve da fare su di un simile ragionamento (ma più che un ragionamento può suonare anch'esso come un atto di disperazione) non mancherebbero (nota).

2.1.1.5.4. Eppure, in questa ottica "post-moderna" un problema teorico di grande rilevanza appare notevolmente trascurato, anche rispetto ad una secolare riflessione che risale quanto meno al medioevo: la religione assume, valorizza, condivide la condizione umana, ovvero la irride, la disprezza, la considera irrilevante e da trascendere? Sembra un discorso marginale: ma è importante capire se il credente apprezza o guarda con sufficienza il non credente che mira a realizzarsi unicamente come essere umano. O per dirla in altro modo: il credente considera il non credente come un uomo di serie B, un uomo destinato al fallimento? Se così fosse, le implicazioni sarebbero molto gravi: ad esempio, tradotte sul piano della politica e della società, significherebbero che quando l'uomo si propone di costurire, come scopo della sua esistenza, una sana convivenza umana, persegue un obiettivo radicalmente inadeguato e assurdo: perché l'umanità non è fine a se stessa, ma ci sono cose più importanti dell'umanità, alle quali l'umanità deve essere subordinata. Non c'è chi non vede come posizioni di questo genere rischiano di annullare secoli di riflessione interna al cristianesimo stesso e riportare il problema a livelli proto-medievali: gli autori cristiani più consapevoli del medioevo infatti affermavano, sia pure con mille cautele, che l'uomo non agisce senza senso quanto persegue fini mondani ed umani (nota).
 
 

2.1.2. STATO, LAICITA', E RELIGIONE

2.1.2.1. Riflessione 1: Tolleranza religiosa e libertà religiosa: un consenso ambiguo

2.1.2.1.0. Una nozione assai diffusa, e quasi data per scontata oggi, è il concetto di libertà e di tolleranza religiosa.

2.1.2.1.1. Storicamente, nella nostra cultura, la idea di libertà religiosa è nata dopo le guerre di religione del Cinquecento e del Seicento seguite alla Riforma Protestante: E' da allora che si è fatta lentamente strada l'idea che lo stato non può imporre la sua religione (di fatto la religione del sovrano), e che la verità (cioè la religione vera, o ritenuta tale) non si può imporre con la forza: altrimenti è una continua guerra civile. Questo lo hanno capito prima alcuni intellettuali (per lo più esponenti delle fazioni religiose minoritarie e quindi più perseguitate), poi alcuni politici, ed infine gli stessi uomini di chiesa.

2.1.2.1.2. Per la chiesa cattolica, il documento di svolta è costituito dalla dichiarazione sulla libertà religiosa

2.1.2.1.3. Tuttavia è evidente che sebbene a parole tutti oggi sono per la "tolleranza religiosa" e per la "libertà di religione" (due concetti peraltro un poco differenti: tolleranza religiosa è più debole che libertà religiosa), di fatto spesso dietro questi slogan si intendono concetti notevolmente differenti.

2.1.2.1.4. Già per cominciare, se si chiedesse "lo stato può imporre o proibire una religione?", praticamente tutti direbbero di no, per il principio della "libertà religiosa". Ma vi sono molte altre domande sulle quali non sarebbe così automatico quel consenso che pure a volte si dà per scontato in tema di "libertà religiosa". Ecco alcune di queste domande (ma il tema è assai più intricato):

a) lo stato con le sue leggi può favorire (senza imporla), con finanziamenti o privilegi giuridici, una religione (ad esempio la religione della maggioranza) piuttosto che un'altra?

b) lo stato può porre come leggi civili degli obblighi che derivano dalle credenze religiose della maggioranza: ad esempio divieto di lavoro in giorno di festa religiosa, divieto di uscire a volto scoperto per le donne, necessità di certificato rilasciato da autorità religiosa per sposarsi o per entrare all'università, ecc.? (Tutti comportamenti che se attuati in modo morbido, danno luogo ad uno stato confessionale, ma se attuati in modo forte, danno origine ad uno stato integralista)

2.1.2.1.5. Non intendiamo addentrarci in queste analisi, di natura squisitamente politica. Qui possiamo limitarci ad evidenziare il seguente problema, che sembra teorico ma è estremamente rivelatore e verrà toccato più avanti: la società ha bisogno di principi e valori religiosi per reggersi, ovvero gli uomini sono in grado di fare decentemente funzionare la società anche se non hanno una religione? Il primo a sostenere, nel nostro mondo moderno, che sarebbe concepibile anche una "repubblica di atei" fu Pierre Bayle, all'inizio del Settecento (prima di allora, ateo, o anche solo eretico, erano equivalente di "anarchico"). Ma, oltre Bayle, tutte le teorie politiche dell'età moderna (liberalismo, democrazia, socialismo) sono, da questo punto di vista, dei progetti di società pensate e gestite dagli uomini, non su fondamento religioso: non a caso sono proprio le teorie che più sono dispiaciute al cristianesimo (la religione dominante della società occidentale, nella quale sono nate quelle teorie politiche). Per quanto riguarda la chiesa cattolica, essa solo in tempi molto recenti, a fatica, parzialmente, e forse solo di facciata, si è riconciliata con alcune di tali dottrine.

2.1.2.2. Riflessione 2: La laicità dello stato nella nostra Costituzione

2.1.2.2.1. La nozione che gira comunemente è che nella nostra società ciascuno può liberamente professare la religione che desidera (questo è vero, con la differenza però che la religione cattolica può organizzarsi nel modo più autonomo, mentre le altre religioni possono farlo nella misura che non violano le leggi).

2.1.2.2.2. Un po' meno diffusa, ma certamente assai condivisa è l'idea che la Repubblica Italiana non dovrebbe fare preferenze, bensì essere neutrale fra le varie religioni: il che è affermato in linea di principio nella nostra Costituzione, anche se di fatto esistono per la Repubblica Italiana religioni di serie A (la chiesa cattolica, con uno speciale concordato), religioni di serie B (le confessioni religiose che hanno ottenuto di stipulare una "Intesa"), e le religioni di serie C (le confessioni religiose che non hanno una "Intesa" con lo stato).

2.1.2.2.3. Assai più incerta pare l'opinione pubblica a proposito di questo punto: lo stato italiano, di fronte alla religione, che atteggiamento assume? Preferisce che i cittadini abbiano una religione (o una particolare religone), ovvero non gliene importa nulla? Se diciamo che non gliene importa nulla, sembra che lo stato disprezzi la religione. Ma se diciamo che gliene importa, ne segue che tra cittadini che professano una religione e cittadini che non professano una religione lo stato preferisce i primi. E' ammissibile questo?

2.1.2.2.4. Qualcuno potrebbe dire, in linea teorica, che non c'è niente di male nel fatto che lo stato abbia delle preferenze per certe attività e per certi valori, anche se ognuno è libero di praticarle o meno: ad esempio lo stato favorisce la lettura, e mette i libri a disposizione della gente (biblioteche pubbliche), ma non per questo considera di serie B i cittadini che non leggono; e allo stesso modo si potrebbe pensare per la religione: ma non ci pare così.

2.1.2.2.5. E non ci pare così perché abbiamo trovato in una sentenza della Corte Costituzionale sull'IRC una definizione della laicità dello stato, che merita di essere più conosciuta: essa dice pressoché testualmente:
a) il valore della libertà religiosa implica un duplice divieto: primo, che i cittadini siano discriminati per motivi di religione; secondo, che sia limitata la libertà di non professare alcuna religione

b) il principio supremo della laicità dello Stato è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica

c) questo principio della laicità, che emerge dagli articoli 2,3,7,8,19,20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione (come sopra definita), in regime di pluralismo confessionale e culturale.

Questo significa che per lo Stato si può dire che la cultura è un valore, mentre non si può dire che la non cultura sia un valore; mentre invece, per la nostra Costituzione, la religione è un valore che viene rispettato, ma anche la non religione è un valore che viene rispettato allo stesso modo. Perché, a pensarci bene, nella religione e nella non religione lo stato non apprezza né la religione né la non religione, bensì la libertà di scelta, la libertà di assumere di fronte alla vita l'atteggiamento che uno vuole liberamente scegliere.

2.1.2.2.6. In sintesi, stato laico è quello che

a) riconosce, alla pari, valore alla religione e alla non-religione

b) sostiene, alla pari, la libertà di religione ed la libertà di non-religione

c) professa, alla pari, la libertà della religione e la libertà dalla religione.

2.1.2.2.7. Certo, come vedremo, questa sentenza della Corte Costituzionale a molti cattolici non è piaciuta: essi, sulla base del passaggio del Concordato che afferma: "La Repubblica Italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa...", vorrebbero trarne il principio che se la cultura religiosa è un valore, la mancanza di religione è un non-valore (nota). Ma tale interpretazione, smentita peraltro dalla Corte Costituzionale, suona un po' come se alla Federazione Italiana Gioco Calcio il Presidente della Repubblica facesse un discorso per esaltare il valore educativo del gioco del calcio, ed i dirigenti della FIGC lo utilizzassero per trarne la conseguenza (chiaramente indebita) che il basket non ha valore educativo.

2.1.2.3. Riflessione 3: Chiesa cattolica, libertà religiosa e laicità dello stato

2.1.2.3.1. La chiesa cattolica, da quando in Italia, alla fine della seconda guerra mondiale, si è cominciato a discutere dei principi sui quali costruire la nuova costituzione (1945-1947), ha sostenuto a gran forza il principio della "libertà religiosa", inteso però non nel senso di una completa uguaglianza e parità fra le religioni, bensì nel senso della garanzia di piena libertà di movimento che lo stato doveva lasciare alla chiesa cattolica: in sostanza la chiesa cattolica, senza preoccuparsi di chiedere la libertà religiosa per tutti, chiedeva di continuare a godere degli stessi privilegi che il regime fascista le aveva riconosciuto (quindi, diremmo, il concetto medievale di libertà come privilegio). Ed in sostanza lo ottenne, perché il Concordato del 1929 venne inserito tale e quale addirittura nella Costituzione, senza nemmeno correggerne evidenti clausole contrarie alla libertà religiosa (ad esempio vi era dichiarato che il cattolicesimo era religione di stato, e lo stato si era obbligato a non assumere come insegnanti statali gli ecclesiastici che fossero stati condannati dalla chiesa, ecc. ecc.)

2.1.2.3.2. Come punto di riferimento della teoria del mondo cattolico sulla laicità dello stato abbiamo incontrato le dottrine di Giuseppe Dalla Torre, presidente dei Giuristi Cattolici Italiani, e quindi assolutamente rappresentativo delle tendenze maggioritarie del cattolicesimo italiano di oggi in ambito giuridico. Queste posizioni ci hanno sorpreso non poco, perché hanno mostrato una concezione giuridica che pensavamo sorpassata; ed è probabile che molti cattolici, se conoscessero esattamente le teorie giuridiche (praticamente ufficiali) della chiesa cattolica, se ne dissocerebbero. Le tesi di Dalla Torre possono essere così telegraficamente tradotte in slogan, pur con tutte le semplificazioni che questo comporta:

a) una società totalmente priva di valori religiosi non può sussistere: gli uomini da soli non sono in grado di fare funzionare una società; una società laica, ed in particolare una società impostata sotto forma di democrazia pluralista è una società per natura sua imperfetta; solo una società fondata sui valori cristiani, una società non indipendente dalla tutela religiosa può essere una società perfetta (e questa pare nostalgia, sia pure sfumata, della "christianitas" medievale) (nota)

b) la nozione di lacità dello stato è una nozione giuridicamente inutile, ambigua, generica e inutilizzabile: la Corte Costituzionale ha sbagliato quando ha affermato che la laicità dello stato fa parte dell'assetto fondamentale della nostra Costituzione (nota)

c) la Costituzione italiana contiene il principio del "favor religionis": lo stato è a servizio dei cittadini, ma siccome la religione è finalizzata alla piena realizzazione umana dei singoli, lo stato è impegnato a favorire le attività religiose dei cittadini (e sembra legittimo trarre la conclusione che se la religione è un valore di fronte allo Stato, la non religione di fronte allo Stato è un non-valore)

d) la chiesa cattolica (solo essa, in quanto unica vera chiesa dell'unico vero dio) è, dal punto di vista giuridico, una societas perfecta, che deve godere di una assoluta sovranità, costituisce un ordine giuridico totalmente autonomo, e non può essere soggetta ad alcun potere non religioso. Ne segue logicamente, concludiamo noi, che è per motivi di principio e non per semplici circostanze storiche che il papa non può essere cittadino di nessun altro stato.

2.1.2.3.3. In conclusione, pare di poter dire che significative componenti del mondo cattolico, nonostante il Concilio Vaticano II, non hanno del tutto rinunciato al vecchio sogno medievale di una "societas christiana".

2.1.2.3.4. (nota) Che nel mondo cattolico vi siano, alle soglie del terzo millennio (ma diciamo pure ventunesimo secolo) componenti che non sono del tutto pacificate con la laicità dello stato (abbiamo citato Dalla Torre, ma si potrebbero indicare Buttiglione, il presidente della conferenza episcopale italiana Ruini, l'Opus Dei, Comunione e Liberazione, ecc. ecc.) e che, se abbiamo capito bene, nutrono una certa nostalgia per l'assetto medievale di una società retta da princìpi cristiani, ci sembra veramente sorprendente. Anche perché sorgono, allora, problemi seri e delicati, che ci sembra veramente offensivo dover sollevare: infatti, se la laicità dello stato è componente essenziale della nostra democrazia, viene da domandarsi se i cattolici italiani siano cittadini affidabili e incondizionatamente democratici. In altre parole: quando un cattolico (diciamo Scalfaro) fa giuramento di fedeltà alla Repubblica, sta facendo un giuramento di fedeltà incondizionata, o giura di essere fedele alla Repubblica solo fintanto che non si potrà realizzare una società migliore di quella attuale imperfetta, una società cristiana alla quale solamente sarebbe tenuto a prestare giuramento di fedeltà incondizionata? Forse c'è qualcosa che non abbiamo capito bene. Ma su un tema così importante, anche questi cattolici dovrebbero parlare con maggiore chiarezza.

2.1.2.4. Riflessione 4: in che senso uno stato laico finanzia anche attività religiose?

2.1.2.4.0. Diamo dunque per acquisito che uno stato laico non significa stato anti-religioso, bensì solo questo: lo stato come tale non ha nessuna religione, perché la religione è un fatto degli individui e delle convinzioni personali; pertanto, per lo stato, che gli individui seguano una religione piuttosto che un'altra, ovvero che seguano una religione piuttosto che nessuna, non ha nessuna rilevanza. Di conseguenza lo stato non dovrebbe avere alcun trattamento di favore o di sfavore nei confronti di alcuna religione come tale, né dovrebbe prendere alcuna posizione in fatto di religione.

2.1.2. 4.1. Ma ben pochi oggi, nella attuale situazione storica e culturale, troverebbero sconveniente che lo stato decida di spendere parte del suo denaro per fini religiosi (la costruzione di una chiesa cattolica, la diffusione della conoscenza del pensiero islamico, la ricostruzione della storia dei valdesi in Italia, un convegno sul pensiero di Martin Lutero, ecc. ecc.): nemmeno i sostenitori della laicità dello stato in senso più rigoroso avrebbero da obiettare più di tanto. Infatti, è pacifico che lo stato possa finanziare attività alle quali si riconosce valenza positiva (la ricostruzione dei mestieri passati, la salvaguardia delll'orso bruno, la diffusione della pesca sportiva, la ricerca in fatto di agopuntura, ecc. ecc.), senza che questo significhi un suo impegno ideologico a favore delle attività che finanzia.

2.1.2.4.2. Il motivo per il quale lo stato laico finanzia molte attività private, e fra queste anche le attività religiose ci pare questo: allo stato sta a cuore unicamente la promozione umana dell'individuo, nonché soprattutto tutto ciò che favorisce la convivenza civile. Per cui lo stato laico rispetta ogni forma religiosa, ma non perché è religiosa (altrimenti dovrebbe rispettare egualmente ebraismo, cattolicesimo e culti satanici), bensì nella misura che la valuta capace di promuovere i valori dell'uomo e della società (nota).

2.1.2.4.3. Pertanto ci sembra di poter concludere come segue. Eventuali riconoscimenti giuridici a vantaggio di alcune religioni (esoneri da tasse, contributi economici, spazi pubblici, ecc.) :

a) significano solamente che lo stato laico ritiene utile (per il benessere dei cittadini, e quindi indirettamente per sé) quella religione, ma non significano che lo stato ha piacere che quella religione venga seguita e si diffonda; anzi, è opportuno che questi vantaggi siano equamente distribuiti fra tutte le religioni senza differenze, ovvero che le differenze siano motivate;

b) la religione che accetta tali forme di aiuto riconosce allo stato il diritto di valutare in concreto (e non una volta per tutte!), la affinità fra gli scopi di quella religione e gli scopi della società (nota)

c) questi aiuti non sono dati alla religione per il suo valore intrinseco, ma solo alla sua utilità rispetto agli scopi che lo stato persegue; non vi è differenza sostanziale, quindi, fra gli aiuti che lo stato dà alle religioni, e quelli che lo stato dà agli enti sportivi, culturali, lirici, ecc.

d) uno stato che non prevede facilitazioni per gli enti religiosi non è uno stato che perseguita le religioni, ma solo uno stato che fa una diversa politica sociale.

 

2.2. RACCOMANDAZIONI

Raccomandazione 2.2.1. A tutti, credenti e non credenti

Ognuno renda pubblicamente ragione dei suoi valori

Nel momento in cui l'umanità affronta sempre nuove sfide e sempre nuovi problemi, non abbiamo bisogno di persone sfiduciate o spaventate (non importa se credenti o non credenti) che agitano irrazionalmente immaginazioni, sogni, incubi, paure: abbiamo bisogno di persone (non importa se credenti o non credenti) che abbiano il coraggio di affrontare la vita senza fuggire, che non rinuncino a cercare pazientemente e senza magiche scorciatoie le ragioni del vivere e del lottare, e che abbiano la forza per infondere ragionevoli speranze nelle generazioni future.

Abbiamo bisogno di persone libere e responsabili (non importa se credenti o non credenti), che agiscano per profonde e motivate convinzioni personali, e non per subitanee, inspiegabili ed incomunicabili ispirazioni. Abbiamo bisogno di persone (non importa se credenti o non credenti) che non vendano il loro buon senso e la loro ragione, pur limitati come sono, a nessuna autorità assoluta che chieda obbedienza ad occhi chiusi.

Ma se questi uomini, di cui noi tutti (credenti e non credenti) abbiamo bisogno, sono credenti di qualunque religione, forse dobbiamo chiedere loro, per poterli assumere come compagni di viaggio affidabili, di rimanere sempre e assolutamente fedeli alla propria coscienza, in modo che se obbediscono a Dio possano dire di farlo sempre con piena consapevolezza e a ragione veduta; dobbiamo chiedere loro di non rinunciare mai al necessario senso critico di domandarsi, ogni volta che gli altri uomini li interpellano, non solo se ciò che loro fanno "Dio lo vuole", ma anche se ciò che "Dio vuole" è umanamente ragionevole e pubblicamente giustificabile. Altrimenti potremmo sempre temere, da parte loro, magari in momenti importanti, comportamenti inspiegabili ed inspiegati. E la vita è già abbastanza difficile perché possiamo permetterci il lusso di associarci con persone che si sentissero dispensate dal darci ragione sempre e comunque del proprio operato.

[approvata con votazione separata: presenti e votanti 16, a favore 11, contro 4, bianche 1]



Raccomandazione 2.2.2. Ai credenti (pensando in particolare ai cattolici di questi ultimi anni)

Vivete la vostra fede "con timore e tremore"

Viviamo in tempi di imbonitori, capaci di vendere ai creduloni, per pochi soldi, delle risposte ai loro problemi esistenziali (maghi, fattucchieri, astrologhi...). Sappiate che se andate in giro a predicare certezze troppo facili, rischiate di essere confusi con dei ciarlatani: il prestigio della tradizione non vi difenderà più di tanto. Sappiate inoltre che se andate in giro a predicare certezze troppo facili, avete perso in partenza contro quelli che hanno delle proposte ben più facili ed immediate (guaritori, esorcisti, culti satanici, ecc.).

Evitate di rivestire la vostra fede di certezze simulate; evitate di dare l'impressione (che a molti, anche credenti, suona offensiva, come gli spot del Caffé Lavazza) di avere Dio in tasca e di parlargli tutti i giorni al telefono.
Vivete anche voi, come ogni essere umano degno di questo nome, nella continua ricerca della verità e dei valori.
E la verità che pensate di avere ascoltato, e i valori che pensate di avere riconosciuto, metteteli in comune senza arroganza e senza supponenza, ricordandovi che se gli altri non ve li riconoscono come valori, potrebbe anche essere che vi siete sbagliati. Perché, detto fra noi, la vostra storia non è anche, come la storia dell'umanità, una continua storia di errori, in mezzo a qualche momento di luce?

[approvata con votazione separata: presenti e votanti 16, a favore 10, contro 4, bianche 2]


 
 

Raccomandazione 2.2.3. Ai non credenti

Non rinunciate a chiedere ai credenti di rendere ragione delle loro scelte e dei loro valori

Non rinunciate al diritto di chiedere ragione ai credenti degli atteggiamenti e dei comportamenti che essi traggono dalla propria fede. Sarebbe infatti assurdo che i credenti volessero avere risposte dalla società (in termini di spazi, concessioni, finanziamenti) pretendendo di avere il privilegio di non rispondere alle domande dei non credenti.
Non rinunciate, per male inteso senso di rispetto, a fare valere le vostre ragioni e le vostre critiche nei confronti degli atteggiamenti e dei comportamenti che i credenti dicono di trarre dalla propria fede: lasciate poi che siano i credenti a valutare se tali critiche siano rivolte ai contenuti della loro fede, ovvero al modo inappropriato con il quale essi la hanno interpretata.

Non rinunziate al vostro diritto di dare una vostra valutazione (valutazione sicuramente opinabile, ma non certo meno valida in linea di principio) sui comportamenti storici dei vari gruppi religiosi, nonché sul potenziale di ricchezza culturale, sociale ed umana che ad ogni gruppo religioso può essere riconosciuto.

Non cedete al ricatto, fin troppo interessato, di quei credenti che con il pretesto che voi non siete credenti si credono in diritto di tacitarvi sugli argomenti religiosi. Tacitare è sempre autoritarismo, scambiarsi ragioni è sempre democrazia.

Tenete per certo che se qualche valore religioso non può essere tradotto in valori umani (elevati ed impegnativi quanto si vuole, ma capaci di fare appello a chi crede nell'uomo) non è un valore, e quindi non è nemmeno un valore religioso.
E, da ultimo, non demandate ai soli credenti il compito di ricercare continuamente i valori umani più nobili ed elevati, perché ricercare continuamente i valori umani più nobili ed elevati è certamente compito di ogni essere umano. Anzi, cercate sempre di capire a quale titolo e con quale intento i credenti propongono, da credenti, valori che dovrebbero valere anche per i non credenti.

[approvata con votazione separata: presenti e votanti 16, a favore 10, contro 5, bianche 1]



Raccomandazione 2.2.4. Ai responsabili (laici ed ecclesiastici) del mondo cattolico

Rinunciate al sogno di dominare la società con la scusa di guidarla in cielo

Prendete l'iniziativa di dichiarare solennemente, per dissipare ogni dubbio, che avete rinunciato definitivamente al sogno medievale di una società universale cristiana, e che lasciate agli uomini di gestire la convivenza civile. Mettete piuttosto in comune con i non credenti le vostre risorse, le vostre critiche e le vostre proposte, così che le risorse le critiche e le proposte di tutti possano fare andare la società a servizio di tutti. Riconoscete che fare andare bene la società è compito umano e non religioso, e che la società non può avere una connotazione religiosa, perché nella società devono vivere tutti, uomini religiosi di tutte le religioni e uomini non religiosi.

Rinunciate autonomamente alla pretesa di avere dall'autorità politica un riconoscimento maggiore rispetto alle altre religioni: nel caso dell'Italia, approfittate della data simbolica dell'anno Duemila per rinunciare unilateralmente al Concordato e stipulare con la Repubblica Italiana una Intesa come tutte le altre confessioni religiose.

Rinunciate alla pretesa di avere uno stato sovrano e autonomo, come garanzia della vostra libertà, e dimostrate di fidarvi maggiormente della Repubblica Italiana. Non si vede infatti perché il papa e i cardinali dovrebbero avere più garanzie di libertà rispetto ad ogni altro cittadino e ad ogni altro credente, cattolico e non cattolico. O forse sono anarchici, in quanto rifiutano per principio sopra di sé qualsivoglia potere politico?

[approvata con votazione separata: presenti e votanti 16, a favore 10, contro 5, bianche 1]




[Fine del documento conclusivo n 2: Area Filosofia]


Chiunque può intervenire con osservazioni e contributi che saranno inglobati nelle edizioni successive

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(versione 2.0 : 1.1.1998)




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